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Dopo due dì, rientrò in Roma il vecchio Stefano Colonna con la sua fazione. E diede esempio memorando di magnanimità; ché non corse alle rappresaglie, non rinfocolò le ire, non perseguitò i congiunti del caduto né lui snidò dal suo rifugio, ma per evitare ogni dissenso gli ordinamenti mantenne e per dimostrare la sincerità della sua perdonanza diede in publico il bacio di pace al suocero di colui che aveva osato attinger l’acqua sanguigna dall’orribile pozza ov’era caduto il più bel fiore della virtù colonnese.
Indi a poco rientrò anche Bertrando di Deucio e riformò lo Stato abolendo tutti i decreti tribunizii ed eleggendo a senatori Bertoldo Orsini e Luca Savelli. I quali parvero ritrovare in Campidoglio il contagio del folle figuratore, poiché fecero dipingere sul muro Cola di Rienzo col capo in giù e a fianco di costui anche capovolti il cancelliere Cecco Mancino e il nepote Conte che teneva la ròcca di Civitavecchia.
A Civitavecchia erasi ricoverato il tremebondo; ma, quando il suo nepote fu dal cardinale costretto alla resa, tornò in Castel Sant’Angelo presso quegli Orsini che avevano combattuto per lui nel tempo delle fortune. Quivi la sua carne saginata, che però in tanto travaglio andava perdendo l’adipe accolto in sette mesi di buona pasciona, fu messa a prezzo. E parve così quasi avverarsi quell’augurio dei lepidi patrizii a cena, quando lui presagirono principe di Norcia se non imperator romano. Francesco Orsini, notaro pontificio in Avignone, mercatò per averlo e ingraziarsi il Papa col darglielo nelle mani; ma perse tempo a stiracchiar la somma. Il suo nepote Nicolao trattava intanto con quel feroce Rainaldo di Marino che, non avendo perso memoria della trista notte di settembre passata in Campidoglio dopo la cena infida, voleva pagar di contanti la gioia del conficcarlo vivo in uno steccone del suo fosso; ma qui anche soverchio fu l’indugio del contratto. Volle il gioco della sorte che ambo i comperatori morissero di sùbito; sicché il mercatato ebbe salva la pelle. E, prima di mettersi al sicuro, trovò tempo e modo di far dipingere sul fianco della chiesa di Santa Maria Maddalena in prossimità del Castello un’ultima allegoria d’un angelo calpestatore di draghi e di aspidi. Ma l’allegoria non ebbe effetto, anzi fu bruttata di loto e di sterco. Perduta ogni speranza di riscossa, Cola escì dalla città alla ventura, lasciando dietro sé la guerra civile la Compagnia del duca Guernieri e la pestilenza.