Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Vita di Cola di Rienzo
Lettura del testo

La vita di Cola di Rienzo

XXXII

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

XXXII

In Romacorsa ogni giorno da quelle novità che non parevano a Matteo Villani degne di memoria «per i lievi e vili movimenti di quell’antica madre e donna del mondo» – era sorta, sul sangue orsino e colonnese versato alle barre nei tumulti d’agosto, una scimmia del Tribuno. Il popolo aveva gridato rettore della città lo scribasenato Francesco Baroncelli detto lo Schiavo «uomo di piccola e vile nazione, e di poca scienza»; ma, dopo quattro mesi di reggimento riformato su gli statuti toscani, lo aveva deposto a furia.

La signoria fu allora offerta al cardinal di Spagna giunto in Montefiascone; restituita fu al Papa la facoltà di porre suoi vicarii nel seggio senatorio. Se bene la novella della liberazione di Cola e il sentore della sua vicinanza già risollevassero nella parte popolare le memorie del primo tribunato e provocassero un certo fermento, il savio Egidio buon conoscitor d’uomini si guardò dal consentire alla designazione e insediò in Campidoglio Guido Patrizi. Memore dei suoi fatti d’arme innanzi a Taliffa e ad Algesira, il Conchese con ardita celerità, accresciuto dei diecimila uomini raccolti sotto la condotta di Giovanni Conti, sostenuto dalla lega di Firenze, di Siena e di Perugia, rinforzò la guerra contro il prefetto di Vico pel recupero del Patrimonio. Vittorioso, coi Monaldeschi entrò in Orvieto; ebbe alfine curva ai suoi piedi calzati di ferro la nuca del ribelle, su cui pesavano tre scomuniche.

Cola di Rienzo s’era ritrovato al campo con molti Romani; ai quali il rivederlo sano e salvo fuor di tanti pericoli pareva portento. Lo invitavano a rientrar nelle mura i cittadini «grandi lingue». E parevano ora gonfiarlo con l’arte sua istessa. Gli dicevano: «Torna alla tua Roma, curala di tanto male, siine novamente signore. Noi sovvenirti vorremo di favore e di forza. Non dubitare. Non mai tanto amato e addimandato fosti.» Gli davano di queste vesciche i popolari e non un danaro. A parolaio parole, a promettitore promesse.


«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL