Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Vita di Cola di Rienzo
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La vita di Cola di Rienzo

XXXVI

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XXXVI

Gli escirono incontro fino a Monte Mario i cavalierotti con rami d’ulivo e lo scortarono alla porta di Castello. L’entrata fu trionfale. Sotto la porta, nella piazza, sul ponte, per la strada ondeggiavano drappi, piovevano frondi, sonavano plausi e clamori. Giunto al Campidoglio, l’uffiziale del papa francioso rimpannucciato col denaro del ladron narbonese fece sua solita concione e si paragonò al re Nabucodonosor che, essendo la sua signoria giunta al cielo e pervenuta fino all’estremità della terra, fu scacciato d’infra gli uomini e per sette stagioni si rimase con le bestie e rugumò l’erba come i buoi e bagnato fu dalla guazza, tanto che il pelo gli crebbe come le penne alle aquile e le unghie come agli uccelli. Schiamazzava la plebaglia rimirando il notaro della Regola che imbestiatosi era per certo ma non parea già pasciuto d’erbabeverato di guazza, così ventroso e rubicondo, lucido di lardo e di sudore, con quella collottola e quella mascella più che badiali. Cresciuto bensì gli era il pelo ché aveva la barba lunga; e cresciute gli erano anche a tutto aggranfiare le granfie. Scioltissimo pur sempre lo scilinguagnolo ma molto ingrossato il fiato nella gargozza.

E sùbito ricominciò egli a mandar suoi epistoloni insulsi per l’universo mondo, a spacciar sue spropositate promesse tra i perdigiorni, a spiccar suoi bandi e comandamenti goffi contro i nobili. Nominò capitani di guerra i due merlotti, Arimbaldo e Brettone; fece un tal Cecco da Perugia suo cavaliere e suo consigliere. Ma sopra ogni altra istituzione curò quella della dispensa, della mensa e della cantina; ché «distemperatissimo bevitore» era diventato, e giustificava la sua spaventevole sete con le scalmane prese nelle prigioni di Boemia. Non volle più conoscer acqua. Non soltanto a ogni ora del giorno e della notte mescolava nel suo otro il dolce e il brusco, il greco e l’ispano, l’albano e il trebbiano, il falerno e la malvasìa, il moscadello e il màmmolo; benanche si lavava con vin pretto le mani e la faccia.


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