IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Ma ancòra ancor mi tentan le spire volubili tue,
o alata strofe, coppia di serpentelli alati
cui domava ad Ovidio con aurei freni un fanciullo
di Venere prole, bello feroce nume.
Lottavan essi: ferivali il tristo co’ dardi;
caldo sprizzava il sangue da le ferite fuora.
Rideane il piccolo arciero scegliendo altre punte
con un maligno tintinnir, ma — Docili!
— pregava il poeta. — Perché con un dio tanta guerra?
Egli è de’ Parti alunno. Docili, o figli miei! —
Non io son Ovidio, non temo io il pargolo armato,
non a te fido vili pianti o lascivi amori,
strofe diletta. Balzami libero vivo nel seno
il cuore, al gran maggio, al gran selvaggio canto
che palpita al bosco, che palpita al mare, che sale
su da la verde mèsse, su da la vigna in fiore,
che immenso ondeggia pe’ glauchi cieli diffusi,
nembo d’effluvii, turbine di pollini,
nel sole nel sole nel sole, esultante squillante
tonante immensa voce di mille iddii.
E non il dio è in me? Il palpito eterno del Mondo
questo non è, che il mio cuore mortale muove?
Non vivono forse i germi di tutte le vite
ne la mia vita umana? Sento il prodigio instare.
Ecco, io distendo nel concavo schifo le membra,
offro al paterno sole tutto il mio corpo ignudo.
Tu cullami, o mare, nel tuo infinito respiro;
compi tu, sole, l’alta metamorfosi.
Da le mie membra, fatte giganti, rampolli una selva.
Scorgeranno l’ignota isola i nauti a sera.