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Dolce godere e l’ombra e l’aura
sotto i ciliegi! — Lungi sta l’arido
giallore dei liti, e il fiammante
al sol di giugno tremulo mare.
Lungi ed intorno le solitudini
regna il Meriggio, atroce despota,
mentre errano per gli orizzonti
Dolce godere e l’ombra e l’aura
sotto i ciliegi! I rami piegano
che quasi paiono tintinnire.
Crosciano i rami a l’urto ritmico
de l’altalena pendula; e il duplice
Rendono i rami piccoli crepiti
di rotte fibre, i frutti piovono
purpurei, il sol per le frondi
Ma tu non temi. Tu ridi, impavida.
Ne l’ondeggiare, effusa palpita
come una tunica portentosa.
Tutto l’effusa tua chioma vestemi:
su la mia carne io sento vivere
le sue innumerevoli fibre,
e ognuna ha un fremito come un’ala.
— In alto! In alto! I cieli attingere
io voglio teco, aver per talamo
tu ridi impavida: tu non temi.
Tu, con ignude le braccia a gli òmeri
miei forti avvinta, di tra la grandine
vermiglia e gli strali del sole,
tu ridi impavida: tu non temi.
E ridi, e ridi: sotto la candida
forza dei denti, ecco, ti sprizzano
e l’umidore voluttuoso
io ne’ miei baci suggo… Oh delizia
suprema! Il mare, il sole, gli alberi,
i frutti, una chioma, l’amore,
la giovinezza, fiamma del mondo,
e le squillanti risa feminee
come i cristalli, e i rosei vertici
d’un seno, ed i gesti leggiadri,
tutte apparenze divine, creano
questa perfetta gioia che gli uomini
tuoi cieli, o Ellade, e conoscemmo
pur noi nel tempo quando in un’isola
armoniosa de l’Arcipelago
e l’una in vóto offriva a Venere
Cipria lo specchio il cinto il pettine,