Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Canto novo
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Canto dell’Ospite

XII26.

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XII26.

Dolce godere e l’ombra e l’aura

sotto i ciliegi! — Lungi sta l’arido

giallore dei liti, e il fiammante

al sol di giugno tremulo mare.

Lungi ed intorno le solitudini

regna il Meriggio, atroce despota,

mentre errano per gli orizzonti

cupe caligini di viola.

Dolce godere e l’ombra e l’aura

sotto i ciliegi! I rami piegano

al peso de’ frutti vermigli

che quasi paiono tintinnire.

Crosciano i rami a l’urto ritmico

de l’altalena pendula; e il duplice

amore si culla tra i giochi

del sol con anima puerile.

Rendono i rami piccoli crepiti

di rotte fibre, i frutti piovono

purpurei, il sol per le frondi

saette folgora tutte d’oro.

Ma tu non temi. Tu ridi, impavida.

Ne l’ondeggiare, effusa palpita

la chioma ed ecco mi veste

come una tunica portentosa.

Tutto l’effusa tua chioma vestemi:

su la mia carne io sento vivere

le sue innumerevoli fibre,

e ognuna ha un fremito come un’ala.

In alto! In alto! I cieli attingere

io voglio teco, aver per talamo

la nube profonda… — Tu ridi,

tu ridi impavida: tu non temi.

Tu, con ignude le braccia a gli òmeri

miei forti avvinta, di tra la grandine

vermiglia e gli strali del sole,

tu ridi impavida: tu non temi.

E ridi, e ridi: sotto la candida

forza dei denti, ecco, ti sprizzano

i turgidi frutti premuti,

e l’umidore voluttuoso

io ne’ miei baci suggo… Oh delizia

suprema! Il mare, il sole, gli alberi,

i frutti, una chioma, l’amore,

la giovinezza, fiamma del mondo,

e le squillanti risa feminee

come i cristalli, e i rosei vertici

d’un seno, ed i gesti leggiadri,

ed una musica di parole,

tutte apparenze divine, creano

questa perfetta gioia che gli uomini

conobbero sotto gli antichi

tuoi cieli, o Ellade, e conoscemmo

pur noi nel tempo quando in un’isola

armoniosa de l’Arcipelago

costei si nomava Ioessa

ed io nomavami Dorione,

e l’una in vóto offriva a Venere

Cipria lo specchio il cinto il pettine,

e l’altro sacrava ad Apollo

Delio la rete l’arco la lira.



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