Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Canto novo
Lettura del testo

Canto novo

Offerta votiva27.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

Offerta votiva27.

Il citaredo Eunomo di Locri in Delfo sacrava

una di lavorato bronzo cicala al dio.

Eravi una tenzone di cetra. E il rivale d’Eunomo,

Sparti, era quivi pronto; e quivi i giudici

erano, e intenti porgevano i lor delicati

orecchi al dotto suono, gravi nel volto, assisi.

Alto estuava il giorno su ’l rosso velario, raggiando

cerulo di lungi tra gli oleastri il Mare.

Ne la divina luce la prova febèa più solenne

era: tremavane ai contendenti il cuore.

Come sonò la cetra locrese al morso del plettro

d’oro, una corda ruppesi con sibilo.

Tutto di pallore si coprì Eunomo temendo

non mancasse la giusta nota a l’accordo pieno,

pei delicati orecchi de’ giudici; quando su ’l giogo

de lo stromento, su ’l deserto còllabo

venne a posarsi un’ebra di rugiade cicala canora

che de l’assente corda il perfetto suono

diede intonando a un tratto su ’l modo colio l’agreste

voce che pur dianzi era de’ boschi gioia!

Vinse per tal soccorso al conspetto de’ giudici illustri

il citaredo Eunomo, vinse la bella prova.

Onde, Re Apolline, o Arco d’argento, figliuolo

di Leto immortale, il coronato Eunomo

volle onorarti in Delfo offrendoti sopra una cetra

foggiata nel più ricco bronzo la sua cicala.

Non, come a quel di Locri, la settima corda soltanto

ruppesi a me fischiando subitamente, o dio.

Tutte le corde, sotto il plettro, si ruppero: stanno

su ’l giogo eburno vedovati i còllabi;

pendono attorti i nervi; tra’ grandi corni lunanti

tesse l’aragna ne lo spazio vacuo.

Tale, o Smintèo, su ’l tronco insigne del lauro l’offerta

pèttide appare quale scaglia inutile.

Ma, come i tuoi cavalli attingono il sommo del cielo

con le cervici ardenti, Febo crinito auriga,

(ansio respira il bosco; di lungi coruscano i golfi

che la divina curva fingon de l’Arco tuo)

vengono le cicale che bevvero a l’alba una stilla

di celeste rugiada e ne son ebre ancóra,

vengono su quella esanime; e ferme, di sotto

l’ali meravigliose, rivi di melodia

versano ne la cava testudine, sì che non mai

trassene il plettro più soavi numeri

mai su le terre e su l’acque e su’ cari pensieri

nostri fluì col suono serenità più pura.

Onde sorrido, o Cintio, d’Eunomo; però che nel petto

a me non tremi, come al citaredo, il cuore.

Placasi nel suono continuo l’anima nostra,

paga del suo silenzio, ricca de’ suoi pensieri,

simile a una bella trireme ancorata in un porto,

reduce dal perìplo, carca di bei tesori.

ΤΕΛΟΣ



«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL