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Il citaredo Eunomo di Locri in Delfo sacrava
una di lavorato bronzo cicala al dio.
Eravi una tenzone di cetra. E il rivale d’Eunomo,
Sparti, era quivi pronto; e quivi i giudici
erano, e intenti porgevano i lor delicati
orecchi al dotto suono, gravi nel volto, assisi.
Alto estuava il giorno su ’l rosso velario, raggiando
cerulo di lungi tra gli oleastri il Mare.
Ne la divina luce la prova febèa più solenne
era: tremavane ai contendenti il cuore.
Come sonò la cetra locrese al morso del plettro
d’oro, una corda ruppesi con sibilo.
Tutto di pallore si coprì Eunomo temendo
non mancasse la giusta nota a l’accordo pieno,
pei delicati orecchi de’ giudici; quando su ’l giogo
de lo stromento, su ’l deserto còllabo
venne a posarsi un’ebra di rugiade cicala canora
che de l’assente corda il perfetto suono
diede intonando a un tratto su ’l modo colio l’agreste
voce che pur dianzi era de’ boschi gioia!
Vinse per tal soccorso al conspetto de’ giudici illustri
il citaredo Eunomo, vinse la bella prova.
Onde, Re Apolline, o Arco d’argento, figliuolo
di Leto immortale, il coronato Eunomo
volle onorarti in Delfo offrendoti sopra una cetra
foggiata nel più ricco bronzo la sua cicala.
Non, come a quel di Locri, la settima corda soltanto
ruppesi a me fischiando subitamente, o dio.
Tutte le corde, sotto il plettro, si ruppero: stanno
su ’l giogo eburno vedovati i còllabi;
pendono attorti i nervi; tra’ grandi corni lunanti
tesse l’aragna ne lo spazio vacuo.
Tale, o Smintèo, su ’l tronco insigne del lauro l’offerta
pèttide appare quale scaglia inutile.
Ma, come i tuoi cavalli attingono il sommo del cielo
con le cervici ardenti, Febo crinito auriga,
(ansio respira il bosco; di lungi coruscano i golfi
che la divina curva fingon de l’Arco tuo)
vengono le cicale che bevvero a l’alba una stilla
di celeste rugiada e ne son ebre ancóra,
vengono su quella esanime; e ferme, di sotto
l’ali meravigliose, rivi di melodia
versano ne la cava testudine, sì che non mai
trassene il plettro più soavi numeri
nè mai su le terre e su l’acque e su’ cari pensieri
nostri fluì co ’l suono serenità più pura.
Onde sorrido, o Cintio, d’Eunomo; però che nel petto
a me non tremi, come al citaredo, il cuore.
Placasi nel suono continuo l’anima nostra,
paga del suo silenzio, ricca de’ suoi pensieri,
simile a una bella trireme ancorata in un porto,
reduce dal perìplo, carca di bei tesori.