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V34.
Sta il gran meriggio su questa di flutti e di piante
verde-azzurrina conca solitaria;
ed io, come un agile pardo a l’agguato, m’ascondo,
platano sacro, qui fra le chiome tue.
Sotto brillano l’acque infinite perdentisi via,
ne ’l cupo cobalto, lunge a ’l perlato cielo.
Pénetra il sole tra i densi chïoschi in oblique
strisce, in ricami onduleggianti a ’l greco;
pénetra… Oh pioggia lucente di schegge e di squame
sovra il mio capo, sovra l’erbette in fiore!
Oh vipere bianche, cerulee bisce lascive
scherzanti con freschi strepiti su le ghiaie!…
Vanno le brune a coppia paranze veliere ne ’l sole
van come i sogni de ’l core mio belle ne ’l sole,
ne ’l sol come i canti de la mia musa liete.
Chi dunque sì dolci rimormora canti lontano
rïecheggianti per le verdi cupole?
Forse ripalpitan vive le driadi antiche
ne’ tronchi e una driade or fra le braccia io serro?
— O bella driade, o cara a Vergilio, o bionda
di Cintia alunna, fortissima amatrice,
rompi da ’l cortice, nuda le membra mortali:
agile io sono, è forte la giovinezza mia!
Rompi da ’l cortice; e tutto, com’ellera umana,
tutto, ecco, suggimi di giovinezza il fiore!