Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Canto novo
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Canto Novo [Editio princeps, 1882]

Libro primo

XIII42.

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XIII42.

Ma ancora ancor mi tentan le spire volubili tue,

o alata strofe, coppia di serpentelli alati

cui domava ad Ovidio con aurei freni un fanciullo

di Venere prole, bello feroce nume.

Lottavan essi: ferivali il tristo codardi;

caldo sprizzava il sangue da le ferite fuora;

rideane il piccolo arciero scegliendo altre punte

con un maligno tintinnir, ma — Docili!

pregava il poeta — Perché con un dio tanta guerra?

Egli è de’ Parti alunno… Docili, o figli miei! —

Non io son Ovidio, non temo io il pargolo armato,

non a te fido vili pianti o lascivi amori,

strofe diletta. Balzami libero vivo ne ’l seno

il cuore, a ’l gran maggio, a ’l gran selvaggio canto

che palpita a ’l bosco, che palpita a ’l mare, che sale

su da la verde messe, su da la vigna in fiore,

che immenso ondeggia peglauchi cieli diffusi,

nembo d’effluvii, turbine di pollini,

ne ’l sole ne ’l sole ne ’l sole, esultante, squillante,

tonante, arcana voce di mille iddii!…

E non il dio è in me? non rinfrangesi il palpito eterno

de la materia ne’ miei nervi, e vibrane

il cérebro, vibrane il sangue, fin l’ima fibrilla

ne vibra, zampillane forte una vita nova?

Ecco, io distendo ne ’l concavo schifo le membra,

do a’ baci de ’l sole questo mio petto e il viso.

Tu cullami, o mare, su l’onda tua fresca d’effluvi;

voi guizzatemi intorno, sì come pesci, o strofe.

Guizzate. Da me inconscio rampollino erbe e virgulti…

Navigherà per l’acque un’isoletta a sera.


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