Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Canto novo
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Canto Novo [Editio princeps, 1882]

Libro secondo

IX52.

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IX52.

Teneami il sonno. Le carezzevoli

tue dita, o Lalla, io non sentiami

per entro a’ capelli, né dolce

io su pel volto, Lalla, il tuo fiato.

Ma ben sentiva per tutto l’essere

la dea presente: ne ’l sonno i giovini

capelli fiorivanmi come

un cespuglietto selvaggio a ’l sole.

Aggrovigliarsi per tutti i muscoli

sentiva i nervi che si faceano

radici, fibrille succhianti

avide il sangue da ogni vena;

e su da ’l core giovine, tùbere

de ’l vegetale novo, con impeto

la tepida linfa vermiglia,

ecco, toccare l’ultime cime.

Allor ne ’l sole fuor da le vergini

gemme proruppe subita a l’aure

l’infanzia gentil de le rame;

e da le rame le foglie, i fiori

a cento a cento, Lalla, proruppero,

le foglie grasse, rossastre, simili

a lembi di carne, chiazzati

i fiori, o Lalla, di sangue umano,

con lunghi stami gialli, proruppero

a cento a cento. Metteva l’albero

solingo ne l’aria una strana

voce chiedendo pòllini, amore.

E tu d’accanto eri, o novissima

dea. D’improvviso rabbrividirono

i rami pervasi da ’l soffio

rinnovellante la prima vita;

quali in amore groppi di vipere

rosse, con mille nodi si attorsero:

poi l’albero sparve… Non queste

son le verdi acque de la Pescara?

non questi i salci che ne ’l silenzio

meridiano, Lalla, mesceano

per l’aure odorose il tuo nome

ai freschi idilli siracusani?


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