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IX52.
Teneami il sonno. Le carezzevoli
tue dita, o Lalla, io non sentiami
per entro a’ capelli, né dolce
io su pe ’l volto, Lalla, il tuo fiato.
Ma ben sentiva per tutto l’essere
la dea presente: ne ’l sonno i giovini
capelli fiorivanmi come
un cespuglietto selvaggio a ’l sole.
Aggrovigliarsi per tutti i muscoli
sentiva i nervi che si faceano
e su da ’l core giovine, tùbere
de ’l vegetale novo, con impeto
Allor ne ’l sole fuor da le vergini
gemme proruppe subita a l’aure
e da le rame le foglie, i fiori
a cento a cento, Lalla, proruppero,
le foglie grasse, rossastre, simili
i fiori, o Lalla, di sangue umano,
con lunghi stami gialli, proruppero
a cento a cento. Metteva l’albero
voce chiedendo pòllini, amore.
E tu d’accanto eri, o novissima
dea. D’improvviso rabbrividirono
rinnovellante la prima vita;
quali in amore groppi di vipere
rosse, con mille nodi si attorsero:
poi l’albero sparve… Non queste
son le verdi acque de la Pescara?
non questi i salci che ne ’l silenzio
per l’aure odorose il tuo nome
ai freschi idilli siracusani?