Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Canto novo
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Canto Novo [Editio princeps, 1882]

Libro secondo

XV58.

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XV58.

Su l’«Egitto» di M. Sala.

Diafane la lucida

riga d’avorii le dita sfiorano,

le tue dita agilissime,

Lalla, risvegliano ne li alvei le anime

de’ suoni… A volo surgono

elle per l’aura molli da li alvei

quali ronzando sciamano

l’api a l’effluvio novo de’ calici

Palpitan ne’ pulviscoli

aurei de ’l vespero le note, spirano

fra li opali e i topazii

de ’l mare. Si animan, Lalla, di teneri

lampeggi ambrati le iridi

tue grandi, l’umide labbra d’aneliti;

e in core a’ ritmi egizii

il loto glauco de’ sogni crescemi.

Le carovane candide

de’ sogni migrano per solitudini

immerse ne ’l misterio,

migrano ai datteri, migrano a l’òasi

de l’amore… Oh palmizii

giganti, carichi di fulvi grappoli,

diritti fra le porpore

de ’l ciel, fra cantici d’arabe vergini!

E i cantici agonizzano

entro il silenzio sacro, e da ’l culmine

de’ minareti a ’l vespero

le malinconiche voci ripetono:

Allah è grande! — Ma turgide

le umane arterie di desìo pulsano,

i coccodrilli s’amano

fra ’l limo, odorano le ombre, il Nilo àugura.

Ne ’l turbine de’ balsami

fumidi un turbine vivo di femmine,

come un groppo di crotali,

di naje, s’agita striscia contorcesi

guizza sotto gli spasimi

de la lascivia: s’impregna l’aria

d’un odore salvatico

di carne: cupide le nari fiutano…

Férmati, alméa! le braccia

ignude bronzee gonfie di arterie

protesa in alto a l’auspice

luna, tu bévine cotondi glauchi

felini occhi da l’orbita

riarsa i placidi raggi, distenditi:

voluttuosi brividi

di sonno corrono tra l’acque e li alberi.

Pe’ i sicomòri argentee

l’acque fluiscono; ne ’l plenilunio

umido l’aure esalano

olezzi spiriti d’esseri incogniti.

Trepide ne l’insonnia

d’amor le vergini òdon le antilopi

in riva a ’l fiume scendere;

e il lambire avido de le lingue odono.

Oh profili agilissimi

di moschee naufraghe per entro a oceani

di nebbie! oh violacei

fulvidi oceani donde i pinnacoli

de’ minareti emergono

gittando a l’aura nembi d’aneliti

umani tra li effluvii

freschi, tra’ fremiti de l’alba liberi!

Una riga lunghissima,

nerastra, mobile, perduta in aridi

mari di sole e sabbia:

non più palmizii verdi, non cupole

che il ciel di smalto squarcino;

ma solitudine sempre, silenzio,

Lalla, dove non germina

loto, ove cantico d’amor non palpita!


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