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Era un bastardo. Ne l’occhio maligno
gli ardeano fiamme d’odio disperato,
come sprazzi di vespero sanguigno
in fondo a l’acqua gialla d’un fossato:
pallido, magro: un ciúffolo rossigno
gli stava ritto su ’l capo sformato,
ed il corpo in un pezzo di macigno
con la scure d’acciar parea tagliato.
Ma chi sapeva gl’impeti d’amore,
che affaticavan quel povero core,
quando a bordo giungevano su’ venti
ne’ plenilunî vasti onde di odore
e non s’udia che il russo de i dormenti?
Nessuno. Ella passava stornellante,
cinta di sol, pe ’l fulvo litorale,
data a l’amore il petto esuberante,
data i capelli a ’l largo maestrale.
Folle di gioventù, l’occhio natante
azzurro come il cielo tropicale
le s’empiea di fantasmi, e inebriante
un inno le salìa da ’l mar d’opale.
Egli fremendo ed anelando in vano,
accovacciato a ’l fondo de ’l barcone,
si premeva le tempia con la mano…
— Via alle reti! — urlavagli il padrone
con un calcio ne ’l ventre. E di lontano
oscillava gioconda la canzone.
Diceva la canzon: — Alga marina!
in fondo all’acqua verde c’è le fate,
c’è un orto di coralli e una casina
fatta per le ragazze innamorate.
Diceva la canzon: — Fiore di spina!
c’è una grotta di pietre colorate,
là giù ne ’l fondo dell’acqua turchina,
fatta per le ragazze fidanzate.
E Rossaccio pensava: Io sono un cane;
per me non c’è né anche una carezza,
non c’è né anche un bacio! Io sono un cane.
Su, tirate, tirate la cavezza:
ecco tutto il mio sangue per un pane…
Ma se un bel giorno la corda si spezza?
S’inerpicava su per la scogliera
l’omicida, sbiancato ed affannoso,
ne l’ampio solleon, come una fiera;
e stringeva il coltello sanguinoso.
Lo salutarono i gabbiani a schiera
pe’ massi alzando il volo fragoroso:
ei gittò il grido a una barca veliera
precipitando in grembo ad un maroso.
il fulvo litoral; triste, interrotto
venia per l’aure de le donne il coro;
e supino un cadavere su ’l fiotto
di smeraldo rigato a zone d’oro
mostrava in faccia a ’l sole il petto rotto.