Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Canto novo
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Canto Novo [Editio princeps, 1882]

Libro quarto

II77.

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II77.

Violacee l’onde ne ’l vespero fosco d’autunno

irrompono mugghiando per le deserte rive,

irrompon con feroce sguizzare di dorsi e di code,

simili ad immenso nembo d’alligatori.

Vanisce il Gran Sasso da lungi, titan soffocato

entro il torpore de la fumèa sanguigna;

per le solitudini de ’l piano s’internano in fila,

qual caravana di dromedari, i colli;

surgono li alberi qua e , morituri, a cui pugna

ancor la vita ne le supreme cime,

surgono: con sibili lunghi il vapor li saluta

fuggendo e tacito io ne la triste fuga

guardo… Oh immemori scheletri d’alberi, un giorno

pugnaci a l’aura come virenti atleti!

oh malvage acque, di sole e d’azzurro esultanti

un giorno, di canti larghe ad amori umani!

Me per questo tedio angoscioso d’autunno, me porta

lungi da ’l mare, lungi da la patria,

il mostro: su ’l volto io l’estrema carezza, l’estremo

bacio sentomi tepido di lacrime,

e i materni aneliti; ancora ne l’anima suonan

le rotte voci ch’ella mettea piangendo,

ancor l’immagine cara protendere io veggo

le braccia in ultimo impeto disperato.

O madre, mi chiama un intenso desio di battaglie

a genti ignote, lungi, ad ignoto cielo!

Pur, dolce l’incanto de’ tuoi sereni occhi e il consiglio

dolce m’era; una pace nova fluir pel sangue

io sentivami quando, riarso la faccia, sfinito

le membra a le corse folli, ai galoppi, a ’l nuoto,

su le ginocchia il capo selvaggio posavati e lene

la tua man scorreami entro le calde chiome.

Entravan ne le chiome libere i venti ed il petto

ai venti libero gl’inni di gioia dava.

Oh inni squillanti da ’l petto per l’ima boscaglia

tra l’alenare di mille verdi vite,

belli inni sonanti, ne l’albe di maggio, a ’l galoppo

de ’l mio poledro, lungo le fratte in fiore!

Sotto la coscia serrata il palpito de’ fianchi

tiepidi io sentiva, ne le narici l’aspro

effluvio de’ crini: tendeansi i muscoli, i nervi

de ’l garretto sì come archi di acciaio; e, tutte

date le briglie, andavam tra la polve…Salute,

dicean cortesi li alberi — o centauro!

Salute! — dicean frementi a la guazza li atleti,

tutti di germini vivi a l’amor de ’l sole.

Ma non gl’inni, ma non gl’inni valeano un tuo sguardo,

o Lalla, o candida suora di Beatrice;

non gl’inni valeano il sì de la bocca tua, d’onde

fluiva limpida la melodia di Cino.

Bella bella bella veniva ella giù pedeclivi,

sotto la gloria de le fiorite estive;

dinanzi, l’Adriatico glauco apriva occhi d’oro

a miriadi tremuli su le selvagge rive;

ed ella protesa le braccia, pe’ gli omeri il crine,

sì come una iddia giovine, — O mare, o mare! —

invocava scendendo: tingeanle il candido viso,

tripudiando, que’ miei più fieri soli…

Addio, mare! Tu li ultimi ululi a ’l convoglio fuggiasco

dài; a te io tutte do le mie strofe. Andate,

andate, figlie de l’anima, simili a torma

di procellarie ne la burrasca, andate!

Me attende una torva battaglia, me forte recluta

un fratel ritto sovra gli spaldi chiama:

ode ei cupi rantoli di strozze fameliche, a ’l fondo

come un brulichìo turpe di vermi umani;

ode ei singulti di laceri petti, infantili

gemiti, aneliti, misere bestemmie…

Non più sogni, non ozii. L’azza sfavilli ne ’l pugno

salda; guardi l’occhio vigile a l’avvenire.


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