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DUE BEATRICI
I 5.
Musa, l’arguta rima in cui mi piacque
laudare Isotta da la bianca mano
e narrar di Brisenna come giacque
co ’l biondo Astìoco trovador sovrano
e come navigando le bell’acque
facean le donne il canto lor toscano
o ne’ gigli bevean quell’acque chiare,
stando la Luna attonita a guardare,
Musa, dammi l’arguta rima e schietta
al modo de’ poeti fiorentini.
Non la ballata e non la ballatetta
con compagnie di gighe e ribechini,
ma l’ottava, l’ottava tua m’alletta,
o grande messer Agnolo Ambrogini,
l’ottava in dove canta un pieno coro
di lusignuoli e ronzan api d’oro.
Ronzano l’api d’or che miele assai
colsero ne’ verzieri di Fiorenza
ne’ verzieri ove un dì m’innamorai,
ove alta e snella in atto di piacenza
risemi Verdespina in tra’ rosai
che ne ’l fiorir sentivan la presenza
ancor de la tua bella Simonetta
Venìan l’acque de l’Affrico declive,
tremando piano i vetrici in su’ cigli,
stormendo i pioppi snelli in su le rive,
questi di fino argento e quei vermigli.
Non apparìan le ninfe fuggitive,
ma pur rideano palpitando i gigli
a lo specchio; e parea l’Affrico tardo
gridare: — O ninfa, un fiume sono ed ardo. —
Parve gridare come un dì l’Ombrone
ad Ambra sua, ne ’l canto medicèo.
A me ne ’l cor gemea la passione
di quel pastore giovine Aristeo
figliuol d’Apollo, e quella sua canzone
ch’ei canta ne la favola d’Orfeo:
— Udite, selve, mie dolci parole,
poiché la bella ninfa udir non vôle. —
Ben m’udì Verdespina. Ella venìa,
alta e sottile quanto li arboscelli,
a me da presso; e viva m’apparìa
tutta pinta di foglie e di fiorelli
che apparve in sogno a Sandro Botticelli.
Portava in bocca un assai pio messaggio:
— Ben venga maggio e ’l gonfalon selvaggio. —
Io era un buon fanciullo: un poco sciocco.
M’ardea ne ’l petto, di dolcezza, il cuore;
ché non pure una volta aveami tocco
con la sua lancia il cavalier Dolore.
Non sì fiero tenea forse il Marzocco
ne l’unghia l’arme de ’l vermiglio fiore
com’io tenea ne ’l pugno, senza alcuna
guerra, le chiome de la mia Fortuna.
Or n’andavan così per la novella
erba, per l’ombre de ’l beato lido,
il damigello con la damigella,
pensando Cino ed il Petrarca e Guido.
Non così dolce il canto de ’l Casella
sonò ne l’alma de ’l poeta fido,
come in me quel leggero ondeggiamento
de li alberi per l’aria senza vento.
O bei cipressi di Montughi, alzati
ne ’l puro vespro quali fiamme a spiga;
monti de ’l Casentin lunge rosati
che in mille vene copia d’acque irriga;
e voi, poggi di Fiesole odorati,
ove brillano i chiari olivi in riga;
e tu, sì vasta ne ’l seren fulgore
de ’l vasto ciel, Santa Maria del Fiore,
se mai grata vi fu la nostra lode,
oh voi dite a’ poeti il mio gioire
quando ella mormorò, dolce — Non ode?
Li usignuoli cominciano ad escire. —
E per man mi trattenne. In su le prode
più forte i gigli presero ad aulire;
onde le man (tremando ella assentìa)
non isciogliemmo più per quella via.
II 6.
o voi che compariste un dì, vestita
di fino argento, a Dante Gabriele,
tenendo un giglio ne le ceree dita,
Viviana, non più forse a la mente
il ricordo di me vi torna omai.
E pure allora, quando io vi parlai,
mi sorrideste a lungo e dolcemente.
Fiorìan, Villa Farnese, i tuoi rosai
ne ’l mattino di maggio e su le antiche
mura il sole una veste aurea mettea:
tra le liete ghirlande si svolgea
la bellissima favola di Psiche;
or vi sovviene de ’l lontan mattino?
Voi sceglieste le rose ne ’l giardino
ove un tempo convenne Rafaele,
muta, con lento gesto, a capo chino.
Non vidi allor la Primavera iddia?
Disser la vostra lode a me li uccelli;
fiori parvero nascer da’ capelli,
cui pinse in terra Sandro Botticelli.
Poi su l’accolta de le vive rose
reclinando la testa agile e bionda,
avidamente, come sitibonda,
— oh voluttate mistica e profonda!
Poi smarrita in un sogno, alta levaste
la faccia ove le azzurre èsili vene
languìano, e mi volgeste (or vi sovviene?)
le pupille ne ’l sogno umide e caste.
Non così pura in cielo è mai Selene.
Io sol dissi a la notte alma e felice,
solo dissi a le stelle il novo amore.
Segreto in me de’ vostri occhi il fulgore
Tale un raggio di luna il silfo ha in cuore.
Or cantarti m’è dolce, o Viviana.
Splendimi ne la chiara ode, vestita
d’argentei fiori, in calma sovrumana
tenendo un giglio tra le ceree dita!