Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La chimera
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Imagini dell’Amore e della Morte

DUE BEATRICI

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DUE BEATRICI

I 5.

Musa, l’arguta rima in cui mi piacque

laudare Isotta da la bianca mano

e narrar di Brisenna come giacque

col biondo Astìoco trovador sovrano

e come navigando le bell’acque

facean le donne il canto lor toscano

o ne’ gigli bevean quell’acque chiare,

stando la Luna attonita a guardare,

Musa, dammi l’arguta rima e schietta

al modo de’ poeti fiorentini.

Non la ballata e non la ballatetta

con compagnie di gighe e ribechini,

ma l’ottava, l’ottava tua m’alletta,

o grande messer Agnolo Ambrogini,

l’ottava in dove canta un pieno coro

di lusignuoli e ronzan api d’oro.

Ronzano l’api d’or che miele assai

colsero ne’ verzieri di Fiorenza

ne’ verzieri ove un m’innamorai,

ove alta e snella in atto di piacenza

risemi Verdespina in tra’ rosai

che ne ’l fiorir sentivan la presenza

ancor de la tua bella Simonetta

e di madonna Ipolita soletta.

Venìan l’acque de l’Affrico declive,

tremando piano i vetrici in su’ cigli,

stormendo i pioppi snelli in su le rive,

questi di fino argento e quei vermigli.

Non apparìan le ninfe fuggitive,

ma pur rideano palpitando i gigli

a lo specchio; e parea l’Affrico tardo

gridare: — O ninfa, un fiume sono ed ardo. —

Parve gridare come un l’Ombrone

ad Ambra sua, ne ’l canto medicèo.

A me ne ’l cor gemea la passione

di quel pastore giovine Aristeo

figliuol d’Apollo, e quella sua canzone

ch’ei canta ne la favola d’Orfeo:

Udite, selve, mie dolci parole,

poiché la bella ninfa udir non vôle. —

Ben m’udì Verdespina. Ella venìa,

alta e sottile quanto li arboscelli,

a me da presso; e viva m’apparìa

tutta pinta di foglie e di fiorelli

come la donna de l’Allegoria

che apparve in sogno a Sandro Botticelli.

Portava in bocca un assai pio messaggio:

Ben venga maggio e ’l gonfalon selvaggio. —

Io era un buon fanciullo: un poco sciocco.

M’ardea ne ’l petto, di dolcezza, il cuore;

ché non pure una volta aveami tocco

con la sua lancia il cavalier Dolore.

Non sì fiero tenea forse il Marzocco

ne l’unghia l’arme de ’l vermiglio fiore

com’io tenea ne ’l pugno, senza alcuna

guerra, le chiome de la mia Fortuna.

Or n’andavan così per la novella

erba, per l’ombre de ’l beato lido,

il damigello con la damigella,

pensando Cino ed il Petrarca e Guido.

Non così dolce il canto de ’l Casella

sonò ne l’alma de ’l poeta fido,

come in me quel leggero ondeggiamento

de li alberi per l’aria senza vento.

O bei cipressi di Montughi, alzati

ne ’l puro vespro quali fiamme a spiga;

monti de ’l Casentin lunge rosati

che in mille vene copia d’acque irriga;

e voi, poggi di Fiesole odorati,

ove brillano i chiari olivi in riga;

e tu, sì vasta ne ’l seren fulgore

de ’l vasto ciel, Santa Maria del Fiore,

se mai grata vi fu la nostra lode,

oh voi dite a’ poeti il mio gioire

quando ella mormorò, dolce — Non ode?

Li usignuoli cominciano ad escire. —

E per man mi trattenne. In su le prode

più forte i gigli presero ad aulire;

onde le man (tremando ella assentìa)

non isciogliemmo più per quella via.

II 6.

O Viviana May de Penuele,

gelida virgo prerafaelita,

o voi che compariste un , vestita

di fino argento, a Dante Gabriele,

tenendo un giglio ne le ceree dita,

Viviana, non più forse a la mente

il ricordo di me vi torna omai.

E pure allora, quando io vi parlai,

mi sorrideste a lungo e dolcemente.

Fiorìan, Villa Farnese, i tuoi rosai

ne ’l mattino di maggio e su le antiche

mura il sole una veste aurea mettea:

tra le liete ghirlande si svolgea

la bellissima favola di Psiche;

navigava in trionfo Galatea.

O Viviana May de Penuele,

or vi sovviene de ’l lontan mattino?

Voi sceglieste le rose ne ’l giardino

ove un tempo convenne Rafaele,

muta, con lento gesto, a capo chino.

Non vidi allor la Primavera iddia?

Disser la vostra lode a me li uccelli;

fiori parvero nascer da’ capelli,

come ne la divina Allegoria

cui pinse in terra Sandro Botticelli.

Poi su l’accolta de le vive rose

reclinando la testa agile e bionda,

avidamente, come sitibonda,

tutte beveste l’anime odorose

oh voluttate mistica e profonda!

Poi smarrita in un sogno, alta levaste

la faccia ove le azzurre èsili vene

languìano, e mi volgeste (or vi sovviene?)

le pupille ne ’l sogno umide e caste.

Non così pura in cielo è mai Selene.

Io sol dissi a la notte alma e felice,

solo dissi a le stelle il novo amore.

Segreto in me de’ vostri occhi il fulgore

io custodii, beata Beatrice.

Tale un raggio di luna il silfo ha in cuore.

Or cantarti m’è dolce, o Viviana.

Splendimi ne la chiara ode, vestita

de la tunica verde e redimita

d’argentei fiori, in calma sovrumana

tenendo un giglio tra le ceree dita!



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