Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La chimera
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Imagini dell’Amore e della Morte

GORGON 7.

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GORGON 7.

I

Ella avea diffuso in volto

quel pallor cupo che adoro.

Le splendea l’alma ne li occhi

quale in chiare acque un tesoro.

Ne la bocca era il sorriso

fulgidissimo e crudele

che il divino Leonardo

perseguì ne le sue tele.

Quel sorriso tristamente

combattea con la dolcezza

de’ lunghi occhi e dava un fascino

sovrumano a la bellezza

de le teste feminili

che il gran Vinci amava. Un fiore

doloroso era la bocca,

e un misterioso odore

esalava ne ’l respiro.

I capelli aridi in onde

s’accoglieano su le tempie,

su la nuca, di profonde

voluttà larghi a l’amante

che scioglieali ne l’alcova,

forse; e avean talor riflessi

di viola, come a prova

de la fiamma il puro acciaio.

II

Questa nobil donna un giorno

io conobbi. Era l’estate

ampia; e dolce il mare intorno

diffondevasi nel sole,

come un drappo suntuoso.

Templi, portici, obelischi

partorìa l’imaginoso

vespro; e a fior de ’l mare pènsili

le sottili architetture

si moveano lentamente:

emergean lunghe figure

fra li intercolonni, a un tratto,

mostri umani o bestiali;

s’immergeano li edifizi

ne le fredde acque natali.

Ella, sola, su la loggia,

tutta involta da i prestigi

de ’l tramonto, in attitudine

d’indolenza, li occhi grigi

tenea quasi semichiusi.

Quando Alberto Delle Some,

conducendomi cortese

presso a lei, disse il mio nome,

ella volse il capo e li occhi

grandi aprì su la mia faccia.

Poi mi porse ambo le mani

sorridendo. Avea le braccia

sino al gomito scoperte,

bianche, pure, di squisite

forme; a’ bei polsi rotondi

eran finamente unite,

come a stel fiori, le mani.

Oh divine mani, oh bianche

mani ch’io non ho baciate!

Si posavan, come stanche,

su ’l marmoreo davanzale;

e le lunghe èsili dita

risplendevano di anelli.

Io sentìa dolce la vita

mia fluire ed i capelli

divenir gelidi, quasi

per un’ideal carezza,

da sottil fremito invasi.

III

Ella, semplice, parlava,

con la sua voce sonora,

lievemente roca a tratti.

Una preziosa flora

nascea lenta ora da ’l mare,

a’ nostri occhi. Li edifizi

giacean spenti in fondo a l’acque.

Pe’ i mirabili artifizi

de la luce ora sorgevano,

come calici di gigli,

alte trombe, e si spandevano;

e nutrite dai vermigli

fumi in cielo prendean tutte

forma d’alberi. Viole

d’improvviso da le arboree

forme piovvero, e ne ’l sole

tutto il mare allora parve

brulicante di meduse.

Ella tacque. Io la guardava.

In quell’attimo confuse

le nostre anime rimasero.

Io non seppi dirle: «V’amo

Ella, forse paventando

l’ora, disseRientriamo;

è già tardi. Io vi saluto. —

E, tendendo la sicura

man, sorrise un’altra volta.

Quindi uscì.

IV

La sua figura

ondeggiava alta ne ’l passo,

con un ritmo affascinante.

Un pensier dolce mi venne:

«Io sarò forse l’amante;

io felice le mie notti

dormirò sopra il suo cuore

Ah, perchè voi mi fuggiste?

Ebro come d’un liquore

troppo forte, ebro di voi,

de ’l ricordo di voi, sento

da quel giorno in tutti i baci,

sento in ogni blandimento

femminile, sento in ogni

voluttà più desiata,

o signora, voi, voi sola;

voi che tanto avrei amata!



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