Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La chimera
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Imagini dell’Amore e della Morte

ATHENAIS MEDICA 8.

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ATHENAIS MEDICA 8.

I

Poiché su la campagna salutare

era venuta la dolce stagione

e un gran disìo di vivere e d’amare

in me tornava con la guarigione,

ella talvolta a le mattine chiare

tutta ridente apriva il mio balcone.

Il suo riso e la luce in un sol getto

m’inondavan di gioia: àlacre in petto

balzava il cuore. Oh mie memorie buone!

Vedea composti in fila li alberelli

su ’l cielo azzurro come il fior de ’l lino,

dritti, con rare foglie, e lunghi e snelli,

quali eran cari a Pietro Perugino;

e a quando a quando udia di tra’ ramelli

gittar suoi trilli dotti un lucherino.

Mi veniva ne ’l corgran diletto

da quella vista, ch’io m’ergea su ’l letto

alquanto, a riguardar più da vicino.

Ben ella avea que’ miei palpiti istessi.

Talvolta io mi sentìa li occhi velare.

Le lacrime facean sì ch’io vedessi

tutte le forme a l’aria tremolare

confusamente, simili a riflessi

vani di cose in fondo a un roseo mare.

Ella, ne le sue man présomi stretto

il capo, susurrava: — Oh mio diletto!

Amor mio dolce! — Io mi credea mancare.

II

1

Io ricordo, Atenài. Lungo il sentiere

de’ pioppi bianchi e de le tamerici,

maga possente contro i malefici,

guida voi foste a ’l debil cavaliere.

Ilare, accanto a voi, senza temere,

io respirava l’aure innovatrici:

mi battean ratte ne le cicatrici

l’onde de ’l sangue tiepide e leggere.

Or col vento giungean quasi a riviere

i profumi de l’ultime pendici,

e, sentendosi il vento a le narici,

i cavalli fremevan di piacere.

Su l’argine de i fossi aride e nere,

fuor de la terra uscendo, le radici

si distendean con lotte ed artifici

meravigliosi a l’ime acque per bere.

Ma salivan ne’ tronchi e ne le intiere

membra correvan l’acque avvivatrici;

contendeva il germoglio i benefici

de la luce, bramando di godere;

e, in alto, a ’l Sole un coro di preghiere

mormoravano li alberi felici,

espandendo le chiome ai vènti amici,

crescendo a le future primavere.

2

Io ricordo, Atenài. Voi, con un mite

sorriso di bontà su le fiorenti

labbra, i miei gesti e i vari atteggiamenti

de ’l mio cavallo seguivate. — Oh dite,

maga Atenài, voi che le mie ferite

curaste di sì dolci lenimenti;

voi che le mani tenere ed aulenti

posaste ne le mie piaghe inasprite;

voi che le insonni mie notti infinite,

piene di mille acuti patimenti,

confortaste d’amor copazienti

balsami de la voce umile, dite,

adorata sorella, oh dite, dite

la gran soavità di quei momenti,

allor che li occhi in lacrime ridenti

vi baciai con le labbra impallidite! —

3

Noi, muti, a lungo cavalcammo ancóra

quella terra benigna ove fioriva

la pace tra le umane opre. E s’udiva

de’ cavalli la lenta orma sonora.

Poi, ne la grave santità de l’ora,

sorse un cantico lungi da la riva

de ’l Mar, subitamente. E il sol moriva.

Ma quel tramonto a noi parve un’aurora.

Io ricordo. Infinito, da le chiare

comunioni de le cose, a ’l giorno

emanava non so qual senso umano

di dolcezza e di oblìo. Proni d’intorno

stavano i poggi e risplendea lontano,

non anche sazio de la luce, il Mare.



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