Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La chimera
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Imagini dell’Amore e della Morte

DONNA CLARA

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DONNA CLARA

I 23.

Sta Donna Clara (ne ’l mio pensiere)

su ’l damascato letto ampio e profondo:

splende la nudità ne l’ombra, e il biondo

capo sorride da l’origliere.

Erto su l’èsili zampe il levriere

blandisce il piè divino a l’Atalanta;

e freme, a la blandizia, tutta quanta

l’ignuda forma strano piacere.

Salgono miti su da ’l verziere

a ’l balcone i leandri in rosei fiocchi;

un gran paone sta co’ suoi cent’occhi

vigile in alto da le ringhiere.

E mentre il cane, quasi per bere,

vibra in ritmo la lingua umida a ’l fiore

de ’l niveo piè, gli corron su ’l nitore

de ’l dorso lunghe onde leggere,

e i fianchi scarsi pulsano, e in fiere

di serpe anella torcesi la coda,

e tremano le zampe in su la proda

de l’ampio letto, lucide e nere.

II 24.

Con il fior de la bocca umida a bere

ella attinge il cristallo. Io lentamente

le verso a stille il vin dolce ed ardente

entro quel rosso fiore de ’l piacere;

e chinato su lei, muto coppiere,

guardo le forme dilettosamente:

la sua testa d’Ermète adolescente

e la sagliente spira de ’l bicchiere.

Or, poi che le pupille a l’amorosa

concordia de le due forme stupende

io solo, io solo, io solo ho dilettate,

godo infranger la coppa preziosa;

e improvviso un desìo vano mi prende

d’infrangere le membra bene amate.

III 25.

Splendidi in tra’ vapori aurei de ’l vino

per lei, come pe’ i belli iddii pagani

ne la serenità de ’l ciel latino,

sorgono li atrii d’Alessandro Albani.

In mezzo, un vivo stel diamantino

balza ne ’l Sole: tra i fuggenti vani

de le colonne adorano il divino

Sole i cedri, li aranci e i melograni.

Ella posa ne l’ombra, in signorile

atto: si stende a ’l niveo piè d’avanti

la pelle d’una gran tigre di Giava.

Dormono a presso i veltri da ’l sottile

muso di luccio, candidi, eleganti,

snelli, che Paol Veronese amava.

IV 26.

Vive anco, immersa ne ’l natale aroma,

lungo il mare una gran selva d’aranci,

ove lento il paone apre ne l’ombra

la pompa de le sue fulgide piume?

Un tempo, allor che in chiari ozi taceva

il golfo ed era il Sole alto ne’ cieli,

(sempre dolce il ricordo a me) giacere

noi amavamo ne la selva d’oro.

Udivam, ne ’l silenzio, a quando a quando

cader su l’acqua i frutti, ed i paoni

schiamazzare tra i rami a noi su ’l capo;

fin che vinceane il Sonno. E de ’l profumo

agreste come de ’l calor d’un vino

si nutrivano i sogni dilettosi.

V 27.

Un , come il silenzio alto ne’ campi

regnava, a mezzo il giorno, e tra le messi

cantavano i servili uomini un inno

a l’abondanza de ’l rinato pane,

ella solea discender le marmoree

scale de ’l suo palagio; ed i levrieri

d’Africa in torno a lei con prodigiosi

balzi urgevan chiedendo d’inseguire.

Sorrideami, guardando, ella. Secura,

sopra l’ultimo grado, indi blandiva

i bei levrieri dalla rosea gola,

candidi cacciatori, insofferenti

d’ozio, che in torno a lei con prodigiosi

balzi urgevan chiedendo d’inseguire.

VI 28.

Nel ’l cortile marmoreo, tra l’alte

colonne a cui s’abbracciano le piante

con amorosi vincoli di fiori,

tace la Bella Fonte, inanimata?

Né più Bacco fanciullo, in su li opimi

grappoli assiso, ride da la tonda

faccia e vendemmia, candido tra l’acque

riscintillanti a ’l sole ed a la luna?

Scendevano i suoi bianchi cani a l’alba

latrando; ed ella li seguìa ne ’l corso

tenendo entro il gentil pugno i guinzali.

E conduceali a dissetarsi. Oh dolce

cosa vedere lei presso la fonte,

simile a Delia, tra i beventi cani!



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