Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La chimera
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Idillii

L’ALUNNA 34.

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L’ALUNNA 34.

Sotto i propiziati albor notturni

ella cavalca lungo il reo padule;

e dietro, a paro, su due bianche mule

seguon due vecchi gravi e taciturni.

In fondo all’acque cupe di tristizia

si muovono talor vaghe figure.

Ella rafforza contro le paure

il cavallo, con placida blandizia.

Il suo corpo, che intriso fu lung’ora

nel lago d’olio all’isola Iunonia,

dolce come le pelli d’Issedonia

a ’l tatto e fresco assai più che l’Aurora,

or chiuso in armatura di gioielli

molto riluce. È bionda come il miele;

e, come li occhi de la fata Urgele,

li occhi suoi brillan verdi in tra’ capelli.

Sale dubbio vapor su da li stagni,

che in alto a l’aria forme truci assume;

a fior de l’acque bollono le schiume;

or sì or no da ’l limo escono lagni.

Ma balzan, di desir tutte vermiglie,

le rose in tra le zampe a ’l palafreno

e baciano a la bella dama il seno

o la mano che tien salda le briglie.

E la Luna talor, nuda le spalle,

a l’aereo veron d’oro s’affaccia

e graziosa a lei mostra la traccia

segnando cerchi magici su ’l calle.

Ella cavalca. E, poi ch’è giunta a ’l loco,


lascia d’un salto il ben gemmato arcione.

A lei li arnesi de l’incantagione

porgono i vecchi. Ell’è trepida un poco.

Or prima, i quattro vènti a richiamare,

battendo ad arte con le lunghe dita

sovra una spera concava e polita,

fa la rossa mandràgora cantare.

Quindi, girando in ritmo agile a danza

tre volte su ’l sinistro piè leggiere,

coglie al fine, con risa di piacere,

l’unico fior de la dimenticanza

che, misto a ’l succo de’ giusquìami bianchi,

rende a le donne la beltà nativa

e alli uomini il già freddo cor ravviva

e cinge di valore inclito i fianchi.



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