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L’ALUNNA 34.
Sotto i propiziati albor notturni
ella cavalca lungo il reo padule;
e dietro, a paro, su due bianche mule
seguon due vecchi gravi e taciturni.
In fondo all’acque cupe di tristizia
si muovono talor vaghe figure.
il cavallo, con placida blandizia.
Il suo corpo, che intriso fu lung’ora
nel lago d’olio all’isola Iunonia,
dolce come le pelli d’Issedonia
a ’l tatto e fresco assai più che l’Aurora,
or chiuso in armatura di gioielli
molto riluce. È bionda come il miele;
e, come li occhi de la fata Urgele,
li occhi suoi brillan verdi in tra’ capelli.
Sale dubbio vapor su da li stagni,
che in alto a l’aria forme truci assume;
a fior de l’acque bollono le schiume;
or sì or no da ’l limo escono lagni.
Ma balzan, di desir tutte vermiglie,
le rose in tra le zampe a ’l palafreno
e baciano a la bella dama il seno
o la mano che tien salda le briglie.
E la Luna talor, nuda le spalle,
a l’aereo veron d’oro s’affaccia
e graziosa a lei mostra la traccia
segnando cerchi magici su ’l calle.
Ella cavalca. E, poi ch’è giunta a ’l loco,

lascia d’un salto il ben gemmato arcione.
A lei li arnesi de l’incantagione
porgono i vecchi. Ell’è trepida un poco.
Or prima, i quattro vènti a richiamare,
battendo ad arte con le lunghe dita
sovra una spera concava e polita,
fa la rossa mandràgora cantare.
Quindi, girando in ritmo agile a danza
tre volte su ’l sinistro piè leggiere,
coglie al fine, con risa di piacere,
l’unico fior de la dimenticanza
che, misto a ’l succo de’ giusquìami bianchi,
rende a le donne la beltà nativa
e alli uomini il già freddo cor ravviva
e cinge di valore inclito i fianchi.