Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La chimera
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Idillii

DIANA INERME 35.

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DIANA INERME 35.

Quando a ’l mattino il Sol gode tra li alberi

con aurea bocca attingere

il fior de l’acque, ridono i miracoli

de la luce ne ’l mobile

specchio. Ed i cervi, a cui ne li occhi il fascino

sta de le solitudini

natie, sazi de ’l pascolo, su ’l limite

scendono in torme a bevere.

Or le cervine imagini e le arboree

tremano a ’l fondo in pendula

corona: s’ode ne la pace il crèpito

de le lingue che lambono.

E, poi che lievi l’aure sopra giungono,

i mammiferi timidi

ergono il muso ne l’inquietudine,

grondanti da le fauci.

Passano lievi per la selva l’aure.

Sospiran come cetere

li alberi a torno, e ne ’l divin silenzio

più gran dolcezza piovono.

Oh de le antiche iddie presente spirito!

Non quivi un giorno, in libero

d’erbe e di fior profondo letto, giacquero

donne possenti e amarono?

Biancheggia entro le chete acque una statua,

sommersa; le marmoree

forme de ’l petto resupino, simili

a chiusi fiori, emergono.

È Diana: così dorme da secoli.

Ma pur, quando a le tiepide

lunazioni estive i boschi odorano,

si sveglia ella; ed il lucido

corpo piegando in arco, alzasi. Tremano

l’acque raggiate; e, attoniti

in conspetto di tal forma, su’ margini

non han li alberi fremito.

Alzasi lenta; e cresce come nuvola,

come su da la tenebra

crescea per l’arti de la maga tessala,

porgendo la man nivea.

Da quel divino gesto attratti, vengono

i cervi a lei con docile

bramire, ed una siepe alta compongono.

Gioisce a lo spettacolo

di tanta preda il cuore de la vergine

cacciatrice. — Oh lietissime

stragi sonanti lungo i fiumi patrii! —

ripensa ella; e sommergesi.



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