ROMANZA 52.
Vi sovviene? Fu il convegno
sotto l’Arco dei Pantani.
Voi, saltando giù da ’l legno,
mi porgeste ambo le mani.
Ridean l’agili colonne,
tutte argento buono, a ’l sol;
ed i passeri loquaci
le cingean d’allegro vol.
Sotto l’Arco il cavalcante
attendea con i due bai.
Con sì pronto atto elegante
voi balzaste, ch’io pensai:
«Quante volte ne’ selvaggi
parchi il cervo ella inseguì?
Dolce cosa al fianco suo
galoppar tra gli allalì!»
Voi chiedeste, con un riso
ne’ belli occhi: — Dunque andiamo? —
Era bianco il vostro viso,
bianco assai. Risposi: — Andiamo. —
Ma facean altre parole
gran tumulti intorno a me.
Le contenni: il cuor ne ’l petto
con che furia mi batté!
Era il Fòro taciturno
da una grave ombra occupato.
Sopra il tempio di Saturno
indugiava, il dì, pacato.
Un non so che senso augusto
si spargea, di deità,
su da quella morta pietra
ne la gran vacuità.
Un istante voi fermaste
il cavallo in su ’l confine.
Ne l’eguale ombra più vaste
digradavan le ruine.
Ma s’aprìa più vasto ancóra
e profondo il mio desir.
Io sentìa l’impeto forte
a la mia bocca salir.
Voi diceste — Or dunque il vostro
bel San Giorgio? È ancor lontano? —
In silenzio alto di chiostro
era il Fòro. Con che strano
sentimento di tristezza
ne ’l silenzio risonò
quella voce, e ne ’l mio cuore
la speranza ravvivò!
A San Giorgio io vi guidai,
a la chiesa erma e gentile
che fiorito a’ novi rai
leva il roseo campanile.
Da la prossima Cloaca,
che de ’l maggio a la virtù
pur fiorìa, di femminette
gran cantar veniva su.
I mattoni bisantini
rilucean vermigli a ’l sole,
come fosser pietre fini,
carboncelli o corniole.
Oh San Giorgio benedetto!
Ivi alfin l’amor s’aprì.
Dolci cose io vi parlai.
Piano, voi diceste sì.