Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La chimera
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Intermezzo melico

ROMANZA 52.

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ROMANZA 52.

Vi sovviene? Fu il convegno

sotto l’Arco dei Pantani.

Voi, saltando giù da ’l legno,

mi porgeste ambo le mani.

Ridean l’agili colonne,

tutte argento buono, a ’l sol;

ed i passeri loquaci

le cingean d’allegro vol.

Sotto l’Arco il cavalcante

attendea con i due bai.

Con sì pronto atto elegante

voi balzaste, ch’io pensai:

«Quante volte ne’ selvaggi

parchi il cervo ella inseguì?

Dolce cosa al fianco suo

galoppar tra gli allalì

Voi chiedeste, con un riso

ne’ belli occhi: — Dunque andiamo? —

Era bianco il vostro viso,

bianco assai. Risposi: — Andiamo. —

Ma facean altre parole

gran tumulti intorno a me.

Le contenni: il cuor ne ’l petto

con che furia mi batté!

Era il Fòro taciturno

da una grave ombra occupato.

Sopra il tempio di Saturno

indugiava, il , pacato.

Un non so che senso augusto

si spargea, di deità,

su da quella morta pietra

ne la gran vacuità.

Un istante voi fermaste

il cavallo in su ’l confine.

Ne l’eguale ombra più vaste

digradavan le ruine.

Ma s’aprìa più vasto ancóra

e profondo il mio desir.

Io sentìa l’impeto forte

a la mia bocca salir.

Voi diceste — Or dunque il vostro

bel San Giorgio? È ancor lontano? —

In silenzio alto di chiostro

era il Fòro. Con che strano

sentimento di tristezza

ne ’l silenzio risonò

quella voce, e ne ’l mio cuore

la speranza ravvivò!

A San Giorgio io vi guidai,

a la chiesa erma e gentile

che fiorito a’ novi rai

leva il roseo campanile.

Da la prossima Cloaca,

che de ’l maggio a la virtù

pur fiorìa, di femminette

gran cantar veniva su.

I mattoni bisantini

rilucean vermigli a ’l sole,

come fosser pietre fini,

carboncelli o corniole.

Oh San Giorgio benedetto!

Ivi alfin l’amor s’aprì.

Dolci cose io vi parlai.

Piano, voi diceste sì.



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