ROMANZA 53.
Dolce ne la memoria
quella vista si leva.
Su l’Aventino ardeva
lento il giorno: una gloria
come di bianche rose
versava il ciel su ’l colle
e coprìa de la molle
neve tutte le cose.
A ’l pian nebbie leggere
si spandeano da ’l fiume:
parean, ne ’l dubbio lume,
volubili riviere
traenti in loro ambagi
favolosi navigli.
Dietro, grandi e vermigli
tra i cipressi, i palagi
su ’l colle imperiale
parean arsi da chiusi
fochi. In un sol confusi
romor profondo eguale,
suoni d’opere umane
salìan da la vicina
ripa; a Santa Sabina
squillavan le campane.
Una pace serena,
la pia pace che amavi
ne’ tuoi cieli soavi,
o Claudio di Lorena,
si spandea ne l’occaso,
piovea su’ cuori oblìo.
Vinto l’essere mio
da quel fascino e invaso,
tutto de la recente
voluttà pieno ancora
(come, o dolce signora,
la tua bocca era ardente!),
all’alto all’alto, anelo,
tendea, spenta ogni guerra.
E parea che la terra
illuminasse il cielo.