Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La chimera
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Rurali

PER LA MESSE 87.

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PER LA MESSE 87.

I

Quando il tuo corpo d’Ebe, alto, ridente

ancor d’infanzia e già schiuso nel fiore

de la prima bellezza adolescente,

sorse avanti improvviso (era l’odore

pe’ i ricolti sereno), la vivente

ubertà de’ capelli a ’l fulvo ardore

de le spighe così naturalmente

si giunse e così vergine il candore

del sol ne l’innocenza del mattino

arrise, ch’io tremai. Non forse tu,

risorta da la terra genitrice,

eri un’iddia de ’l buon tempo latino?

E non venivi ai popoli datrice

d’una nuova più forte gioventù?

II

Sia con l’uomo la pace e la giustizia.

Tace, inerte nel sonno, la pianura

sazia di luce e pingue di dovizia,

oppressa da l’immensa genitura.

Argentei de’ vènti a la blandizia

li olivi custodiscon la matura

copia. Fausto il ciel brilla; e un coro inizia

i gravi offici de l’agricoltura.

E si svolge così, ne la profonda

serenità de la tua luna estiva,

l’inno del pane, o madre terra esperia;

come quando per Cerere feconda

il mite canto arvalico saliva,

regnando Numa con la ninfa Egeria.

III

Or falcian diecimila braccia umane

la messe del frumento. Come antiche

are sacrate a deità pagane,

su i rasi campi sorgono le biche;

e lietamente l’uomo a le fatiche

piega la forza de le membra sane,

però che ride in cima de le spiche

a l’uom l’augurio de ’l futuro pane.

Guarda da l’alto su la rusticale

opera il Sole, dio benigno e grande

a cui sacro è ne’ solchi ogni covone.

E ne la pia letizia cereale

per me la tua geòrgica si spande,

o Publïo Vergilïo Marone.



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