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IL POMO 90.
Pendono i frutti, maturati a ’l roseo
intatti ancóra, poi che ad Ebe l’intima
dolcezza lor consacrano.
Vermigli sono e de ’l lor peso aggravano
e tale effluvio spargono aulentissimo
tutta e ne ’l capo assai giocondi nasconmi
di amore sì che in vero tutta ridemi,
Sopraggiunge ne li orti Ebe, con sùbita
— O tu, o tu che siedi sotto l’albero
de ’l pomo, un frutto coglimi! —
— Non io te ’l coglierò, ma te medesima
il ramo, su le mie braccia, o dolcissima
Ebe. — Ed ella: — Or tu lèvami
su le tue braccia. — Ed io la levo a giugnere
ed alletta, sì come ne la favola
Ergesi il corpo d’Ebe, quale un’anfora,
mani ella tende a ’l ramo, in attitudine
bellissima; ed ai cùbiti
ove, meglio che a ’l frutto, io vorrei mordere,
me’ che a l’inarrivabile
frutto. — Ancóra! — ella grida. — Ancóra! Un ultimo
sforzo, ed ha vinto Tantalo! —
Ond’io più l’alzo; e più ne ’l desiderio
de le sue membra. Grida ella: — Vittoria! —
da le mie braccia e fugge, abbandonandomi.
— Vittoria! — li orti echeggiano.
Poi ella torna, perocché ne l’animo
sia pïetosa. Offrendomi
la cara bocca, ancóra tutta rorida
esce fragrante come su da ’l calice
d’un fiore, dice: — Baciami! —
Ed a lungo io la bacio; e tutti fremono,