Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La chimera
Lettura del testo

Rurali

BOOZ ADDORMENTATO 93.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

BOOZ ADDORMENTATO 93.

[DA VICTOR HUGO]

I

Ora Booz giaceva, stanco le braccia e il petto,

però che faticato avea molto su l’aia.

Ed or giaceva alfine Booz, presso le staia

ricolme di fromento, ne ’l consueto letto.

Possedea grandi il vecchio campi d’orzo e di grano

al sole; e prosperavano i suoi campi in dovizia.

Se ben dovizioso, era mite ed umano

il vecchio; e incline avea l’animo a la giustizia.

Quando a sera tornavano da le agresti fatiche

carichi di manipoli i mietitori a torme,

ei, vedendo una femmina china cercar ne l’orme,

dicea: — Lasciate, o uomini probi, cader le spiche. —

Così, candidamente, lungi da oblique strade,

di probità vestito e di lino, incedeva.

Parean publiche fonti le sue sacca di biade,

però che vi attingeano quanti la fame urgeva.

D’argento era la barba, come rivo d’aprile.

Le femmine guardavano, più che l’èsili e blande

forme di un uomo giovine, quella forma senile;

però che l’uomo giovine bello è, ma il vecchio è grande.

Il vecchio, risagliente a le origini prime,

entra ne li anni eterni, esce da i malcerti.

Al giovine una fiamma brilla ne li occhi aperti,

ma ne li occhi de ’l vecchio è una luce sublime.

II

Ora Booz dormiva ne la notte tra i suoi.

Presso le mole simili ne l’ombra a monumenti,

i mietitori stavano distesi, come armenti

stanchi. E questo era in tempi lontanissimi a noi.

Le tribù d’Israello avean per capo un saggio.

La terra, esercitata da una gente errabonda

che ignote orme giganti scoprìa ne ’l suo passaggio,

tutta era molle ed umida pel diluvio e feconda.

III

Come Jacob e Judith, con le pàlpebre chiuse

Booz giacea ne ’l grave sonno patriarcale.

Or la porta de ’l cielo su ’l suo capo si schiuse

e ne discese un sogno. Ed il sogno fu tale:

Booz vide una quercia fuor de ’l suo ventre in piena

vita sorgere e lenta giugner l’ultimo lume.

Una stirpe di umani vi s’ergea, qual catena:

un re cantava a ’l piede, moriva in alto un nume.

E mormorava Booz, sotto le verdi foglie:

Come può mai, Signore, questo dunque accadere?

Su ’l mio capo fiorirono ottanta primavere;

ed io non ho figliuoli, ed io non ho più moglie.

Da gran tempo colei che meco ebbi giacente

ha lasciato il mio letto pel tuo letto, Signore;

e noi siam l’una a l’altro ancor misti d’amore,

ella pur semiviva ed io quasi morente.

Una progenie nuova da me sorgere a gloria?

Or come posso io dunque aver prole, o Signore?

La prima giovinezza ha trionfanti aurore:

esce il da la notte come da una vittoria;

ma la vecchiezza è tremula, quale ai vènti alberello.

Io son vedovo, solo, ne ’l vespero, su ’l monte;

come un bove assetato piega a l’acqua la fronte,

io l’anima reclino, mio Dio, verso l’avello. —

Così Booz parlava, ne la misteriosa

notte, e a Dio volgea l’occhio inerte; però che

l’alto cedro non sente a ’l suo piede una rosa

e non sentiva Booz una donna a ’l suo piè.

VI

Mentre Booz dormiva, Ruth, una moabita,

s’era distesa ai piedi de ’l vecchio, nuda il seno,

sperando un qualche ignoto raggio o ignoto baleno

se venìa col risveglio la luce de la vita.

Ora Booz inconscio dormiva sotto i cieli;

Ruth inconscia attendea, con pia serenità.

Una fresca fragranza salìa da li asfodeli,

e i soffi de la notte languìan su Galgalà.

Era l’ombra solenne, augusta e nuziale.

Volavan forse, innanzi a li occhi stupefatti

de li umani, erranti angeli; però che in alto a tratti

apparivano azzurri lembi simili ad ale.

Il largo respirare di Booz dormiente

mesceasi de’ ruscelli a ’l romor roco e grave.

Era nel tempo quando la natura è soave:

i colli aveano gigli su la cima fiorente.

Ruth pensava; dormiva Booz. L’erbe alte e nere

ondeggiavano; in pace respiravan li armenti;

una immensa dolcezza scendea da i firmamenti.

Era l’ora in cui placidi vanno i leoni a bere.

Ogni cosa taceva in Ur e in Jerimàde.

Li astri riscintillavano su pel cielo profondo;

il mite arco lunare, tra il giardino giocondo

de’ fiori de la luce, risplendea su le biade;

e Ruth, immota, li occhi socchiudendo tra i veli,

chiedea: — Qual mietitore dio de l’eterna estate,

poi che le sue stellanti ariste ebbe tagliate,

gittò la falce d’oro ne ’l gran campo de i cieli? —



«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL