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I 94.
Quando in terra a le soglie umili venne
Gabriele (d’in torno anche fiorìa
la terra a ’l novel tempo?) udì la pia
Donna, tremando, il rombo de le penne.
Ma quel Messo, in un dolce atto e solenne
a l’Eletta parlò: — Bene ti sia;
il Signore sia teco; ave, Maria. —
E il fremito de l’alte ali contenne.
Non io vengo su alte ali recando
divin messaggio. Ahi troppo io feci schiava
l’anima e troppo il mio servire è antico!
Ma pur, tese le mani come quando
io dolcemente — Ave, sorella — dico.
II 95.
Ave dico. Per quante volte il mite
lume de li occhi suoi misericordi
ne’ miei torbidi spiriti discordi
ridusse in pace ogni più trista lite;
(Deh come belli su da le ferite
non anche chiuse i fiori de’ ricordi
balzan fiammando! Tremano i precordi
in gran dolcezza. O fiori, aulite, aulite!)
per quante volte a la soave nostra
madre ella terse con man leniente
le lacrime ch’io feci a lei versare;
per quante volte seppe addormentare
ne le sue braccia il mio figliuol dolente,
Ave dico, ave dico; e il cuor si prostra.
III 96.
O sorella, felice sposa uscendo
da la mia casa che di pianti suona,
volgi la faccia sotto la corona
Io muto dietro a te le braccia tendo,
o mia sorella, o mia sorella buona;
la man ben usa al gesto che perdona,
la cara man che mi sanava io prendo.
Ti volgi tu, ne’ veli; e mi conforti
porgendomi tra i fior la bianca fronte
ove già luce il sogno de ’l futuro.
Quindi varchi la soglia. E teco porti
quel ch’era in me, sopra le glorie e l’onte,
più sereno più giovine e più puro!