Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La chimera
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Epodo

AL POETA ANDREA SPERELLI 101.

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AL POETA ANDREA SPERELLI 101.

Sperelli, piange ne ’l tuo cor profondo

l’Anima al fine disperata e sola?

Fa che raccolga ogni dolor del mondo.

Come l’oliva sotto la gran mola

geme un olio soave, il tuo cor franto

geme il verso che esalta e che consola.

Apri una vena al tuo già chiuso pianto.

Corra improvviso un caldo flutto umano

per le tue strofe e s’oda alto lo schianto.

Veggasi tutto il sangue tuo mal sano

rompere fuora e fumigar la piaga

incesa ben da la tua stessa mano.

L’Anima trista che non fu mai paga

narri ai poeti la tremenda angoscia

durata in braccio de l’antica Maga.

Come talora la bandiera floscia,

in cima de l’antenna, alto garrire

s’ode repente se il turbine scroscia,

così, tolta a quel suo lungo morire,

or la tua volontà fiammando forte

al soffio del dolor riprenda ardire.

Tu, col tuo pugno, chiuderai le porte

del cupo laberinto insidioso

ove lasciasti tante cose morte.

Ucciderai quel Sogno che il riposo

ti tolse ed in balia l’Anima tenne

e bevve il sangue tuo voluttuoso.

Quel Sogno che la tua vita contenne,

quel vivo Sogno cadrà, sanguinando

qual mozzo capo sotto la bipenne.

Cadrà, con un sorriso muto; e quando,

muto, ti guarderà con li occhi fissi,

pieni d’ombra e di lacrime, implorando,

tu sentirai salir su da li abissi

de l’esser tuo un grido non umano;

e sarà peggio che se tu morissi.

O amico, o tu che soffri, ecco la mano!

Io fui già prode. Io son che, senza grida,

feci tutti i miei sogni a brano a brano.

La creatura bella ed omicida

che si nutriva del mio cor possente

non più m’attira ne l’alcova infida.

E anch’ella simigliava oscuramente

l’Essere ambiguo, il prodigioso Mito

che Leonardo amò ne la sua mente.

Ell’era l’ideale Ermafrodito,

era il pensato Andrògine. Lo sguardo

suscitava un affanno indefinito,

mordeva il cuore, acuto come un dardo;

senza mai tregua, né tristiliete

sorridevan le labbra… O Leonardo,

insonne Prometèo, sottile Ermète,

bel semidio, quali Anime divine

chiudesti ne le tue Forme segrete?

Una di quelle mute anime al fine

un giorno mi parlava d’improvviso;

Anima con pupille sibilline,

Anima con le labbra e con un riso,

un riso inestinguibile ed esiguo,

che le labbra effondean per tutto il viso.

Intento mi guardò l’Essere ambiguo.

Dietro il suo capo risplendea lontano

sotto un ciel dolce un bel paese irriguo.

Mi guardò e mi disse: — In vano, in vano,

Giovine, t’affatichi a penetrarmi.

Il mio grande segreto è sovrumano.

Il tuo desire è contro me senz’armi.

Non giunge fino a me la tua preghiera.

Vincermi tu non potrai, né puoi stancarmi.

Io son la Sfinge e sono la Chimera.

O tu che sogni, qui ne le mie dita

la trama del tuo sogno è prigioniera.

O tu che soffri, io so la tua ferita.

Ma nulla più mi turba e più m’accora.

Io conosco le leggi de la Vita.

Io guardo in me. Le tènebre ch’esplora

il mio sguardo profondo, internamente,

m’attraggon più d’ogni più bella aurora.

Che è l’aurora? Che è mai l’ardente

spira de li astri, il mar blando e feroce?

Io guardo in me con le pupille intente.

Sola io contemplo, sola e senza voce,

un mar che non ha fondo e non ha lido.

O tu che soffri, il tuo soffrire è atroce;

ma non saprai giammai perché sorrido. —



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