Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La città morta
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ATTO SECONDO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

 

Alessandro rimane presso il balcone, addossato a uno degli stipiti, guardando ancora il paese. Leonardo segue con gli occhi la sorella che conduce la cieca, fin oltre la soglia.

 

Alessandro.

 

Che è quel fuoco , su la cima di Larissa? Guarda! Uno, due, tre fuochi.... Un altro fuoco , sotto il Licone. Vedi? Vedi le colonne del fumo? Sembrano immobili. Non spira un soffio. Che calma infinita! È una delle sere più belle e più solenni ch'io abbia mai veduto.

 

Una pausa. Leonardo s'accosta all'amico, gli pone una mano su l'omero con un atto fraterno, e rimane silenzioso.

 

Guarda il colore e il lineamento delle montagne sul cielo! Ogni volta che io le guardo, la sera, faccio un atto spontaneo di adorazione verso la loro divinità. In nessuna terra, come in questa, si sente quel che v'è di sacro nell'aspetto delle montagne lontane. È vero?

 

Leonardo, con la voce alterata.

 

È vero. Bisogna pregare le montagne, che sono pure.

 

Alessandro.

 

Come sono pure, stasera! Sembrano materiate di zaffiro. Soltanto l'Aracnèo rosseggia ancora: la sua cima è sempre l'ultima a spegnersi. Ma quei fuochi? Si moltiplicano, si propagano giù giù per le colline fino al piano.... Guarda, sotto Larissa, ve n'è una corona. È strano che le colonne del fumo sieno tanto bianche. Sembrano illuminate da un'altra luce: da una luna invisibile. È vero? E sono religiose: portano forse le implorazioni degli uomini.

 

Leonardo.

 

Forse. Gli uomini implorano l'acqua per la terra che ha sete.

 

Alessandro.

 

È terribile questa sete.

 

Una pausa. Leonardo si allontana, qualche passo nella stanza dove comincia a addensarsi l'ombra intorno ai tesori che rilucono confusamente. Egli è incapace di contenere l'agitazione interiore. Si avvicina alla tavola dove giace la spoglia di Cassandra. Alessandro lo segue con lo sguardo ansioso.

 

Ah, guardi se i gioielli di Cassandra sono bene disposti.... Bianca Maria era occupata a ordinarli quando io sono venuto a cercare di te. Io stesso volevo aiutarla; ma poi.... abbiamo parlato.... e l'ora è trascorsa in un baleno.... Abbiamo parlato anche di te, Leonardo.

 

Leonardo, agitato.

 

Di me?

 

Alessandro.

 

Di te: del tuo segreto....

 

Leonardo, coprendosi di pallore.

 

Del mio segreto?

 

Alessandro, avvicinandosi all'amico e prendendogli la mano con dolcezza.

 

Che hai? Dimmi: che hai? Perchè tremi così?

 

Leonardo.

 

Non so perchè tremo....

 

Alessandro.

 

Non sono più dunque io il fratello della tua anima? Da tanti giorni aspetto, da tanti giorni aspetto che tu mi parli, che tu mi confessi la tua pena.... Non hai più fede in me, dunque? Non sono più per te quello che comprende tutto, a cui tutto si può dire?

 

Leonardo, reprimendo l'angoscia che gli stringe la gola.

 

Sì, sì, Alessandro, tu sei sempre quello.... Che cosa non ti debbo io? Che ero io, prima di conoscerti, prima di comunicare con la tua anima? che ero io? Tutto ti debbo: la rivelazione della vita.... Tu mi hai fatto vivere della tua fiamma; tu hai fatto vivere intorno a me tutte le cose che prima erano morte.... Ah, che mai sarebbe per me tutto quest'oro, se non ti avessi conosciuto? Metallo inerte. E tu, tu solo m'hai fatto degno d'assistere a un prodigio....

 

Alessandro.

 

E ora? ora non posso far nulla per il tuo male?

 

Leonardo, smarrito.

 

Non so che ho, non so che ho.... Non so che sia questo mio male....

 

Alessandro.

 

Povero amico! Da due anni omai, da due lunghi anni tu sei qui, in questo paese di sete, ai piedi di questa montagna nuda, chiuso nel fascino della città morta, a scavare la terra, a scavare la terra, con quegli spaventosi fantasmi sempre diritti innanzi agli occhi tra la polvere ardente.... Come la tua forza non s'è rotta prima d'ora? Per due anni tu hai respirato le esalazioni micidiali dei sepolcri nascosti, curvo sotto l'orrore del più tragico destino che mai abbia divorato una stirpe umana. Come hai potuto resistere? Come non hai avuto paura della demenza? Tu sembri un uomo avvelenato; e qualche volta ti ho visto gli occhi d'un frenetico.

 

Leonardo.

 

Sì, sì, è vero: io sono avvelenato....

 

Alessandro.

 

Perchè non volesti ascoltarmi? Quando tu mi chiamasti, quando io venni qui, già tu eri preso dalla cattiva febbre. Io presentii il pericolo.... E volevo strapparti all'idea fissa, volevo condurti altrove, interrompere l'atroce lavoro. Non ti ricordi? Avremmo passata la primavera a Zacinto, sul mare, poco lontano..,. Ma la tua ostinazione fu invincibile: la malìa t'aveva preso.... Ora però bisogna partire senza indugio, bisogna andare verso le acque, verso i boschi, verso le terre verdi.... Bisogna che tu ti lasci abbracciare da una bella terra verde, che tu dorma i tuoi sonni affondato nell'erba, che tu senta entrare a poco a poco in te i nuovi pensieri....

 

Leonardo.

 

Sì, sì, tu hai ragione: bisogna partire, bisogna andar lontano.... Dove? Dove?... E anch'ella.... anch'ella, mia sorella, Bianca Maria.... verrebbe con noi.... Anch'ella verrebbe con noi....

 

Alessandro, oscurato, esitante.

 

Anch'ella.... Non credi tu che anch'ella sia oppressa, che anch'ella abbia bisogno di respirare, di vivere.... Ella s'addolora per te, ella piange per te....

 

Leonardo.

 

Piange? Piange?

 

Alessandro.

 

Ella teme che tu non l'ami più, che tu non abbia più per lei la tenerezza d'una volta....

 

Leonardo, smorto e fioco.

 

La tenerezza d'una volta.... Ella piange? piange?

 

Alessandro, prendendogli di nuovo le mani, quasi con violenza.

 

Ma che hai, dunque? Ma che hai? Perchè ora tremi così?

 

Leonardo, con un impeto disperato.

 

Ah, se tu potessi salvarmi!

 

Alessandro.

 

Io debbo, io voglio salvarti, Leonardo.

 

Leonardo.

 

Tu non puoi, tu non puoi.... Io sono perduto.

 

Egli qualche passo per la stanza, smarritamente; va verso il balcone; va verso la porta, la chiude. Torna verso Alessandro vacillando, come chi sia assalito da un delirio repentino.

 

Come dirti! Come dirti!... Ah, è una cosa orribile, una cosa orribile....

 

Alessandro, percosso dall'atto e dalle parole.

 

Leonardo!

 

Leonardo si lascia cadere su una sedia e si stringe le tempie fra le palme.

 

Una cosa orribile....

 

Alessandro, prendendogli ancora le mani, chinandosi verso il volto di lui, nell'ombra!

 

Ma parla! Ma parla! Non vedi che mi torci il cuore?

 

Leonardo.

 

Sì, parlerò, ti dirò.... Ma non mi guardare così da vicino, ma non mi tenere le mani.... Siedi .... Aspetta.... aspetta che ci sia più ombra.... Ti dirò.... Bisogna che io ti dica.... a te.... a te solo.... Orribile cosa!

 

Alessandro, sedendo poco discosto, parlando a bassa voce, nell'ansia che l'opprime.

 

Ecco, mi siedo qui.... Aspetto.... aspetto.... Tu sei nell'ombra.... Non ti vedo, quasi.... Parla!

 

Leonardo.

 

Come dire!

 

Una pausa. I due sono l'uno di contro all'altro, nell'ombra animata dal luccichio degli ori. Quando Leonardo riprende a parlare, la sua voce è rauca e interrotta. Alessandro ascolta immobile, quasi che tutto il suo essere sia contratto dall'angoscia.

 

Ah, tu la conosci, tu la conosci.... tu sai che dolce, che tenera, che pura creatura ella sia.... mia sorella.... Tu sai, tu sai che cosa ella sia stata per me negli anni di solitudine e di lavoro.... Ella è stata il profumo della mia vita, il riposo e la freschezza, il consiglio e il conforto, e il sogno, e la poesia, e tutto.... Tu sai, tu sai....

 

Una pausa.

 

Quali altre gioie ha conosciuto la mia gioventù? Quale altra donna è venuta sul mio cammino? Nessuna. Il mio sangue scorreva senza turbamento.... Io ho vissuto come in un vóto: non ho tremato se non per la bellezza delle statue che ho dissepolte.... La nostra vita è sempre stata pura come una preghiera, nella solitudine.... Ah, la solitudine!... Quanto tempo, quanto tempo abbiamo vissuto l'uno accanto all'altra, fratello e sorella, soli, soli e felici, come due fanciulli.... Io ho mangiato i frutti su cui era il segno dei suoi denti, e ho bevuto l'acqua nel cavo delle sue mani.

 

Una pausa.

 

Soli, sempre soli, nelle case piene di luce!... Ora imagina uno che inconsapevole beva un tossico, un filtro, qualche cosa d'impuro che gli avveleni il sangue, che gli contamini il pensiero: così, all'improvviso, mentre la sua anima è in pace.... Imagina questa incredibile sciagura!... Tu sei in un'ora comune della tua esistenza, in un'ora simile a tante altre; è un giorno d'inverno, lucido e limpido come il diamante: tutto è chiaro, tutto è visibile, da vicino, da lontano. Tu torni dal tuo lavoro: la tua attenzione si allenta; tu non scopri nulla di singolare in te, nelle cose: il tuo respiro è calmo, la tua anima è in pace, la tua vita scorre come ieri nella sua continuità, dal passato verso l'avvenire.... Tu torni nella tua casa che è piena di luce e di silenzio come ieri; tu apri una porta; tu entri in una stanza.... e tu la vedi, lei, lei, la tua compagna innocente, tu la vedi addormentata dinnanzi al fuoco, tutta colorita dalla fiamma, con i piccoli piedi nudi esposti al calore. Tu la guardi e sorridi. E, mentre sorridi, un pensiero subitaneo e involontario ti attraversa lo spirito: un pensiero torbido contro di cui tutto il tuo essere ha un fremito di repugnanza.... Invano! Invano! Il pensiero persiste, cresce di forza, diventa mostruoso, si fa dominatore.... Ah, è possibile questo?... S'impadronisce di te, ti occupa il sangue, ti invade tutti i sensi. E tu sei la sua preda, la sua preda miserabile e tremante; e tutta la tua anima, la tua anima pura, è infetta; e tutto è in te macchia e contaminazione.... Ah, è credibile questo?

 

Egli balza in piedi, sentendo trasalire Alessandro nell'ombra. Tutto il suo corpo è scosso da un brivido simile al ribrezzo della febbre. Fa qualche passo verso il balcone; poi torna a sedersi. Alessandro ha gli occhi sbarrati e fissi su di lui.

 

Ora, imagina tu la mia vita qui, in questa casa, con lei e col mostro. Qui, nella casa piena di luce o piena di tenebre, io solo con lei sola!... Una lotta disperata e nascosta, senza tregua, senza scampo, di giorno e di notte, in ogni ora e in ogni attimo, più atroce come più s'inclinava verso il mio male la pietà inconsapevole della povera creatura.... Nulla valeva: non il lavoro quasi furioso, non la stanchezza quasi bestiale, lo stupore che mi davano il sole e la polvere, l'ansietà che mi davano i segni rinvenuti ogni giorno nella terra che frugavo: nulla, nulla valeva a dominare l'orribile febbre, a interrompere almeno per qualche istante la demenza scellerata. Io chiudevo gli occhi quando la vedevo venire a me da lontano; e le mie palpebre su i miei occhi erano come il fuoco sul fuoco. E pensavo, mentre i polsi mi stordivano le orecchie, pensavo con un'angoscia che mi pareva sempre dovesse esser l'ultima della vita: "Ah, se riaprendo gli occhi io potessi guardarla come un tempo la guardavo, riconoscere in lei la sorella santa!" E la mia volontà scoteva la mia anima misera, per liberarla dal male, col ribrezzo violento e col terrore folle di colui che scuote la sua veste ove s'è nascosto un rettile. Inutilmente, sempre inutilmente! Ella veniva a me con un passo che certo era il suo passo consueto ma che mi sembrava diverso e mi turbava come un linguaggio ambiguo. E, se più ella mi vedeva inquieto e triste, più si faceva dolce. E, quando le sue mani calme mi toccavano, tutte le mie ossa tremavano e s'agghiacciavano, e il mio cuore s'arrestava, e la mia fronte si bagnava di sudore, e la radice dei miei capelli diveniva sensibile come nella paura della morte.... Ah, peggiore assai della morte era in me il dubbio ch'ella potesse indovinare la verità, la tremenda verità!

 

Una pausa.

 

La notte! La notte! Se la luce era spaventevole, il buio era più spaventevole ancora: il buio che è tiepido di soffii, il buio che le allucinazioni e i delirii.... Ella dormiva nella stanza attigua alla mia. Tutte le sere, su la soglia, ella mi porgeva le sue gote, prima di ritrarsi; dal suo letto mi parlava talvolta, a traverso la parete.... Origliando, udivo il suo respiro eguale nel sonno, dalla mia veglia angosciosa. Impossibile dormire! Mi pareva che le palpebre mi ferissero gli occhi; i cigli erano come aculei in una piaga.... E l'ore pesanti morivano l'una dopo l'altra; e veniva l'alba, e con l'alba il sopore su l'intollerabile stanchezza, e nel sopore i sogni.... Oh, i sogni i sogni infami da cui l'anima non può difendersi! Meglio vegliare, meglio penare sul guanciale come su i rovi, meglio agonizzare nella stanchezza.... Comprendi tu? Comprendi tu? Quando alfine il sonno cade su la pena a un tratto come un urto che schiaccia, quando la povera carne si fa ottusa e greve come il piombo, quando tutto l'essere chiede di morire, di morire un poco, - comprendi tu? - la lotta disperata contro la necessità della natura, pel terrore di divenire nel sonno la preda inerte del mostro ributtante.... Mi risveglio sbigottito come dopo la colpa, con tutta la carne contratta dall'orrore, non sapendo più s'io abbia sognato o se io sia ancor caldo del delitto, più stracco di prima, più misero di prima, con l'odio della luce - io che ho spavento del buio! - , con l'istinto di tenere il capo curvo e lo sguardo a terra come il bruto....

 

Alessandro, con la voce soffocata, irriconoscibile.

 

Taci! Taci!

 

Egli si alza, convulso, non potendo più reggere al dolore; va al balcone, trae un respiro, leva la faccia al cielo stellato.

 

 

Leonardo.

 

Ah, ti ho soffocato.... Guarda, guarda le stelle! Respira, tu che puoi....

 

Alessandro, piano, andando verso di lui, toccandogli il capo con la mano tremante.

 

Ora taci! Taci! Non più....

 

Egli qualche passo nell'ombra, vacillando; va verso la porta, l'apre, guarda nel vuoto, richiude; poi torna verso Leonardo che ha la faccia tra lo palme, curvo, e gli tocca il capo. Si volge di nuovo al balcone. Leonardo si alza e gli si accosta. Ambedue in silenzio, l'uno a fianco dell'altro, guardano la campagna sparsa di roghi accesi nella sera straordinariamente calma e pura.

 

 

 


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