Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Elegie romane
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Libro secondo

Il viadotto 8.

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Il viadotto 8.

Ella era meco. Forte stringeva il mio braccio ed ansava

contro il gran vento, muta, pallida, a capo chino.

Ahi, trascinato amore! Pareami sentire in su ’l braccio

(ella stringea più forte) premere un peso immane.

Ahi, trascinato amore, con triste menzogna, per tanto

tempo, in sì dolci luoghi! Luoghi già tanto cari!

Cupa, di sotto gli archi del ponte, muggiva in tempesta

ampia di querci e d’elci la signoria dei Chigi;

ma dal contrario colle, tra i mandorli scossi, ridea,

quale da rupe un gregge pendulo, Aricia al sole.

Pendula Aricia al sole ridea su la conca profonda:

ombra mettean le nubi cerula nella fuga.

Era il Tirreno in vista, di lungi, una spada raggiante;

eran, di lungi, i boschi isole tutte d’oro.

Ma pel mio cuor mutato, pel duro cuor mio dalle cose

ruppero in van fantasmi, ahi, del goduto bene!

Sorsero dalle cose fantasmi bellissimi. Ed ella,

auspice Sole, ed ella era pur bella in vano!

Era pur bella, o Sole. Stringeva il mio braccio ed ansava,

contro il gran vento, muta, pallida, a capo chino.

Non a lei forse ignara parlavan le cose nel vento?

«Ei più non t’ama, o donna misera! Ei più non t’ama


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