Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Elegie romane
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Libro secondo

Villa Chigi9.

III

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III

Or non vedeva il cielo nelli occhi di lei ma dolore.

Ella tacea pur sempre, pallida più del cielo.

Tutte le forme alli occhi miei lassi apparìan dubitose

inesistenti, come forme di sogni, strane.

Alberi strani, in torno, balzavan da terra a ghermire

con mostruose braccia la delicata nube.

Snella fuggìa la nube l’abbraccio terribile, dando

al ghermitor selvaggio labili veli d’oro.

Folti per ogni parte i muschi crescean nella grave

umidità. Le querci erano di velluto.

Tutti copriva i tronchi quel fresco velluto opulento;

tutte le pietre in torno erano di velluto.

Oh meraviglia! Un tempo mi parve il mirabile ammanto

opra di carmi, ed ella spargere tal mistero.

Dubio, da un ciel di perla, guardava il sole tra i rami;

ella ridea con occhi limpidi all’Adorato.

Mi vacillava il cuore: — La luce che illumina il bosco,

misteriosa, piove dalli occhi suoi? dal sole? —

Come nell’alba prima la luna d’agosto mancando,

pallida, effonde un riso che non fu mai più lene:

tremano in ciel due vaghi miracoli; un sogno la terra

ultimo esala, incerta nello spinale albore:

ella così mi parve. Contorte al suo piè le radici

eran di serpi un gregge obbediente a lei.


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