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V
Sempre nelli occhi, sempre, avrò quella vista. Oh silente
pallida ignuda selva non obliata mai!
Erasi chiuso il cielo. Qualche alito, raro, destava
per le caduche cime quasi un brivido.
Cumuli di carbone qua e là nelli spiazzi, come alti
roghi ove già fossero cenere i cadaveri,
lenti fumigavano. Salivan nell’aria le spire
lente ondeggiando; lente dileguavano;
e su ’l composto suolo di foglie morte, su quella
tomba d’autunni, l’ombre camminavano.
Cenere, fumo ed ombra parean quivi segnar la gran legge.
— Devono, come i corpi, come le foglie, come
tutto, le pure cose dell’anima sfarsi, marcire;
devono i sogni sciogliersi in putredine.
Devi tu, uomo, sempre, di ciò che ti diede l’ebrezza
assaporare torpido la nausea.
Nulla dal fato è immune. Nel corpo e nell’anima, tutto
tutto, morendo, devesi corrompere. —
Or chi di noi soffriva più forte? Ella, ella mi amava;
vivere al men sentiva, d’una tremenda vita,
entro il cuor suo la fiamma: la fiamma anche pura e raggiante.
Io non l’amava. Il cuore gonfio parea d’un tetro
lezzo; non altro senso avea che d’un tedio infinito
l’anima ottusa. Oh come, donna, t’invidiai!