Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Elegie romane
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Libro secondo

Villa Chigi9.

V

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V

Sempre nelli occhi, sempre, avrò quella vista. Oh silente

pallida ignuda selva non obliata mai!

Erasi chiuso il cielo. Qualche alito, raro, destava

per le caduche cime quasi un brivido.

Cumuli di carbone qua e nelli spiazzi, come alti

roghi ove già fossero cenere i cadaveri,

lenti fumigavano. Salivan nell’aria le spire

lente ondeggiando; lente dileguavano;

e su ’l composto suolo di foglie morte, su quella

tomba d’autunni, l’ombre camminavano.

Cenere, fumo ed ombra parean quivi segnar la gran legge.

Devono, come i corpi, come le foglie, come

tutto, le pure cose dell’anima sfarsi, marcire;

devono i sogni sciogliersi in putredine.

Devi tu, uomo, sempre, di ciò che ti diede l’ebrezza

assaporare torpido la nausea.

Nulla dal fato è immune. Nel corpo e nell’anima, tutto

tutto, morendo, devesi corrompere. —

Or chi di noi soffriva più forte? Ella, ella mi amava;

vivere al men sentiva, d’una tremenda vita,

entro il cuor suo la fiamma: la fiamma anche pura e raggiante.

Io non l’amava. Il cuore gonfio parea d’un tetro

lezzo; non altro senso avea che d’un tedio infinito

l’anima ottusa. Oh come, donna, t’invidiai!


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