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VI
Ma trasalimmo entrambi, udendo sonare una scure.
Colpi iterati, sùbito, echeggiarono.
Aspra nel gran silenzio ferìa l’invisibile scure;
non il ferito tronco udìasi gemere.
Ella, ella, a un tratto, come ferita, ruppe in singhiozzi:
ruppe ella in disperate lacrime; ed io la vidi
nel mio pensiero, quasi nel guizzo d’un lampo, io la vidi
ùmile sanguinare, ùmile boccheggiare,
stesa tra ’l sangue, e alzare le supplici mani dal rosso
lago; e dicea con gli occhi: — Io non ti feci male. —
Oh moribonda anima! Le stetti da presso impietrito.
Anche una volta bere le sue lacrime
io non poteva? Al meno sfiorarle i capelli una volta
io non poteva? Al meno prenderle i polsi; il viso
bianco scoprirle, il giglio divino imperlato di pianto;
chiederle al men con voce dolce: — Perché piangete? —
Ella piangea. Di lunge, i colpi echeggiavano; gli alti
roghi, d’in torno, lenti fumigavano.