Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Elegie romane
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Libro secondo

Il vóto10.

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Il vóto10.

Discendevamo il colle, la sera d’aprile occupando

i colonnesi boschi umida argentea

mentre nell’ombra cantavano già gli usignuoli,

noti aulivano fiori anche invisibili.

Ella era muta; muto io era. Breve intervallo

era tra noi, tra i nostri deboli corpi: breve;

ma non quel colle, ma non quel lago, ma non il lontano

mare, ma non la sera fulgida aveva abissi

tanto profondi quanto l’abisso che muto tra noi

era… Oh discesa lenta per l’infinito clivo

mentre nell’ombra cantavano già gli usignuoli,

noti aulivano fiori anche invisibili!

Candido arrise il cielo. Recò nel sovrano candore

suon di campane l’Ave, giù da Castel Gandolfo.

Ci soffermammo. Ed ella (il suo lieve gesto mi pesa

nella memoria) dalla fronte dolente al petto

stanco segnò la croce: — indizi d’interna preghiera

alla sua bocca pallida salirono.

Quale fu il vóto? Invase pur me, in quel lume, un fervore

sùbito; e pur fervido sorse il mio vóto al cielo

Ave, Maria. Voi fate, o Madre misericorde,

ch’ella non m’ami! Fate ch’ella non m’ami, o ch’ella

muoia! Togliete il truce amore all’anima sua,

misericorde Madre, e a me il supplizio!



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