Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Elegie romane
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Libro terzo

Dal Monte Pincio 18.

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Dal Monte Pincio 18.

Sorge lavato il monte, fragrante di fresca verdura,

trepido; e il ciel di maggio ride alla rotta nube.

Pace nell’aria viene dal bel lacrimevole riso,

cui vaga pur d’altezza l’anima nostra attinge,

cui balenando in cima le cupole attingono e gli alti

alberi che gran serto fanno a’ tuoi colli, o Roma.

Mite risplendi, o Roma. Cerulea sotto l’azzurro,

tutta ravvolta in velo tenue d’oro, giaci.

Sopra correa la nube, con tuono lungo echeggiante;

ecco, ed il ciel di maggio ride alla rotta nube.

Tal, dopogran guerra, dopo tanta notte funesta,

dopo l’amaro tedio, dopo il lamento vile,

(lungi per sempre, lungi, o sogni, dall’anima nostra:

sogni, che troppo un giorno perseguitammo in vano!)

l’anima, liberata di tutte procelle, respira;

non il ricordo l’ange, non il desìo l’acceca,

più non la morde cura d’antichi amori o novelli,

ansia non più l’affanna d’altri ignorati beni.

L’anima sta: tranquilla rispecchia la vita e raccoglie

entro il suo vasto cerchio l’anima delle cose.


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