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I
O Roma, come un Barbaro ebbi gioia
di te quando il desio fiutar nell’erme
ombre parea dei Circhi e delle Terme
sol l’acre odor della tua lupa in foia.
Lungi dal lezzo della plebe croia,
vissi di spoglie opime io non inerme;
regnai gli atrii le fonti i lauri l’erme;
vestii l’ostro; e all’Amor dissi: «Ch’io muoia!»
Venir t’udii notturna di lontano
col rimbombo del bronzo al mio terrore
come la statua sùccuba di Venere;
ahi Roma, e all’alba il dosso della mano
torse dalla mia bocca il tuo sapore,
sapor d’eterno ch’è nella tua cenere.