Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La figlia di Iorio
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ATTO PRIMO

Scena seconda

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Scena seconda

 

Dall'usciuolo entrerà la madre loro, Candia della Leonessa.

 

CANDIA DELLA LEONESSA: Ah cicale, mie cicale,

una a furia di cantare

è scoppiata in cima al pioppo.

Or non cantano più i galli

a destar chi dorme troppo.

Ora cantan le cicale,

tre cicale di mezzogiorno,

che m'han preso un uscio chiuso

per un albero di fronda!

Ma la nuora non ascolta.

Oh Aligi, Aligi figlio!

 

(L'uscio si aprirà. E apparirà lo sposo imberbe; che darà il suo saluto con voce grave ed occhi fissi, religiosamente).

 

ALIGI: Laudato Gesù e Maria!

E voi, madre che mi déste

questa carne battezzata,

benedetta siate, madre.

Benedette voi, sorelle,

fiore del sangue mio.

Per voi, per me, la croce mi faccio

in mezzo al viso dove non passi

il falso nemicomortovivo,

fuocofiamma,

velenofattura;

malo sudore lo bagnipianto.

Padre, Figliuolo e Spirito Santo!

 

(Le sorelle si segneranno e passeranno la soglia recando le vestimenta. Aligi si appresserà alla madre, come trasognato).

 

CANDIA: Carne mia viva, ti tocco la fronte

con questo pane di pura farina

intriso nella madia che ha cent'anni

nata prima di te, prima di me

spianato sopra l'asse che ha cent'anni

da queste mani che t'hanno tenuto.

Io ti tocco la fronte che sia chiara,

ti tocco il petto che sia senz'affanni,

e questa spalla ti tocco e quest'altra

che ti reggan le braccia alla fatica

e la tua donna vi posi la gota.

E che Cristo ti parli e che tu l'oda!

 

(Con un panello la madre farà il segno della croce sul figlio che sarà caduto in ginocchio dinanzi a lei).

 

ALIGI: Io mi colcai e Cristo mi sognai.

Cristo mi disse: «Non aver paura».

San Giovanni mi disse: «Sta sicuro.

Senza candela tu non morirai».

Disse: «Non morirai di mala morte».

E voi data m'avete la mia sorte,

madre; la sposa voi l'avete scelta

pel vostro figlio nella vostra casa.

Madre, voi me l'avete accompagnata

perché dorma con me sopra il guanciale,

perché mangi con me nella scodella.

Io pascevo la mandra alla montagna,

alla montagna debbo ritornare.

 

(La madre gli toccherà la fronte con la palma, come per cacciarne un'ombra funesta).

 

CANDIA: Àlzati, figlio. Come strano parli!

La tua parola cangia di colore,

come quando l'ulivo è sotto il vento.

 

(Il figlio s'alzerà, smarrito).

 

ALIGI: E il mio padre dov'è, che non lo veggo?

 

CANDIA: A mietitura con la compagnia,

a far mannelle, in grazia del Signore.

 

ALIGI: Io ho mietuto all'ombra del suo corpo

prima ch'io fossi cresimato in fronte,

quando il mio capo al fianco gli giungeva.

La prima volta mi tagliai la vena

qui dov'è il segno. Con le foglie trite

fu ristagnato il sangue che colava.

«Figlio Aligi» mi disse «figlio Aligi,

lascia la falce e prenditi la mazza;

fatti pastore e va su la montagna».

E fu guardato il suo comandamento.

 

CANDIA: Figlio, qual è la pena che t'accora?

Il sogno incubo forse ti fu sopra?

La tua parola è come quando annotta

e sul ciglio del fosso uno si siede

e non segue la via perché conosce

che arrivare non può dov'è il suo cuore,

quando annotta e l'avemaria non s'ode.

 

ALIGI: Alla montagna debbo ritornare.

Madre, dov'è la mazza del pastore,

che giorno e notte sa le vie dell'erba?

Io l'abbia, quando viene il parentado,

che la veda com'io la lavorai.

 

(La madre andrà a prendere la mazza poggiata in un canto, presso il focolare).

 

CANDIA: Eccola, figlio. Guarda. Le sorelle

per San Giovanni te l'hanno fiorita

di garofali rossi e spicanardi.

 

ALIGI (mostrando l'intaglio): Io nel legno del sànguine le ho meco

sempre, e per mano, le mie tre sorelle,

che m'accompagnan su le vie dell'erba.

Guardate, madre, son tre verginelle,

e tre angeli volano su loro,

e tre stelle comete e tre colombe,

e per ciascuna ho fatto anche un fioretto,

e questo è il sole con la mezzaluna,

questo è il pianeta, e questo è il Sacramento,

e questo è il campanile di San Biagio,

e questo è il fiume e questa è la mia casa.

Ma chi è questa che sta su la porta?

 

CANDIA: Aligi, Aligi, perché vuoi ch'io pianga?

 

ALIGI: E quaggiù, verso il ferro ch'entra in terra,

e quaggiù son le pecore e il pastore,

le pecore il pastore e la montagna.

E alla montagna debbo ritornare,

anche se piangi, anche se piango, madre.

 

(Egli si appoggerà alla mazza con ambe le mani, e chinerà il capo assorto).

 

CANDIA: Ma la Speranza dove l'hai tu messa?

 

ALIGI: La faccia sua non la potei 'mparare

per lavorarla, madre, in verità.

 

(Si udrà lontano un clamore selvaggio).

 

Madre, e chi è che grida così forte?

 

CANDIA: I mietitori fanno l'incanata.

Dalla pazzia del sole Iddio li scampi,

figlio, e dal sangue li guardi il Battista!

 

ALIGI: E chi mai tese quella fascia rossa

a traverso la porta della casa

e vi pose il bidente e la conocchia?

Perché non entri la cosa malvagia,

ah, ponete l'aratro e il carro e i buoi

contro la soglia, e le pietre e le zolle,

e la calce di tutte le fornaci,

il macigno con l'orma di Sansone,

la Maiella con tutta la sua neve!

 

CANDIA: Figlio, che nasce nell'anima tua?

Cristo ti disse: «Non aver paura».

Sei desto? Guarda la croce di cera:

fu benedetta il giorno dell'Ascensa.

Su i càrdini fu sparsa l'acqua santa.

La cosa trista qui non entrerà.

Le tue sorelle han tesa la cintura,

quella cintura che da te fu vinta

prima che tu pastore ti facessi,

vinta alla gara del solco diritto;

te ne ricordi, figlio? Tesa l'hanno

pel parentado che deve passare,

che per passare doni a piacimento.

Perché domandi, se tu sai l'usanza?

 

ALIGI: Madre, madre, dormii settecent'anni,

settecent'anni; e vengo di lontano.

Non mi ricordo più della mia culla.

 

CANDIA: Figlio, che hai? Tu parli per farnetico?

Vin negro ti versò la sposa tua

forse, e a digiuno te lo tracannasti,

sicché tratto tu sei di sentimento?

O Vergine Maria, datemi grazia!

 

LA VOCE DI ORNELLA (dalla camera nuziale): Tutta di verde mi voglio vestire,

tutta di verde per Santo Giovanni,

ché in mezzo al verde mi venne a fedire...

Oilì, oilì, oilà!

 

 

 


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