Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La figlia di Iorio
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ATTO PRIMO

Scena terza

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Scena terza

 

La sposa apparirà su la soglia, vestita di verde, sospinta dalle tre cognate.

 

SPLENDORE: Ecco la sposa. L'abbiamo vestita

con l'allegrezze della primavera.

 

FAVETTA: L'oro e l'argento nella pettorina,

ma nel resto color d'erba serena.

 

ORNELLA: Voi prendetela nelle vostre braccia,

o cara madre, e voi la consolate!

 

SPLENDORE: Su la proda del letto a lacrimare

noi la trovammo, a piangere di pianto

pel pensiere di quella che è deserta.

 

ORNELLA: Pel vaso di garofali che soffre

sul davanzale ov'ella non s'affaccia.

Voi prendetela nelle vostre braccia!

 

CANDIA: Nuora, nuora, segnai con questo pane

il sangue mio; ed ecco, ora lo spezzo,

lo spezzo sul tuo capo rilucente.

Fa crescere la casa d'abondanza,

come il lièvito buono che ogni volta

fa traboccar la pasta dalla madia.

Portami pace e non portarmi guerra.

 

LE TRE SORELLE: Così sia, madre. Baciamo la terra.

 

(Si chineranno, toccheranno la terra con la destra, e questa recheranno alle labbra. Aligi sarà prostrato come chi prega, in disparte).

 

CANDIA: O nuora mia, per la tua casa nova

sii come per il fuso il fusaiuolo,

come per la matassa l'arcolaio,

come per il telaio la navicella.

 

LE TRE SORELLE: Così sia, madre. Baciamo la terra.

 

CANDIA: Nuora Vienda, per l'anima tua,

ecco, io ti metto in mezzo al pane mondo.

Le mura della casa, i quattro canti

- il sole in Dio si leva e si colca,

quello è bacio e quello è solatìo -,

il colmigno e la gronda col suo nido,

gli alari e le catene del camino

chiamo, e il mortaio che pesta il sale bianco

e l'alberello che lo custodisce,

o nuora, chiamo a testimonianza:

come t'ho messa in mezzo al pane mondo

così ti metto in mezzo al core mio,

per questa vita e per la vita eterna.

 

LE TRE SORELLE: Così sia, madre. Baciamo la terra.

 

(La nuora chinerà il volto lacrimoso sul petto della suocera che la cingerà con ambe le braccia tenendo tuttavia nell'una mano e nell'altra le due parti del pane. Si udranno le grida dei mietitori. Aligi trasalterà, e andrà verso la porta. Le sorelle accorreranno).

 

FAVETTA: I mietitori il gran sole gli impazza,

e come cani abbaiano a chi passa.

 

SPLENDORE: I mietitori fanno l'incanata.

Nel vino rosso mai non metton acqua.

 

ORNELLA: E per ogni mannella una sorsata,

e il piede della bica è la caraffa.

 

FAVETTA: Gesù Signore, che vampa d'inferno!

Comare Serpe si morde la coda.

 

ORNELLA: Ahi mercé, spiga spiga, paglia paglia,

la falce pria v'abbrucia e poi vi taglia.

 

SPLENDORE: Ahi mercé, padre, per le braccia tue

che son piene di vene alla bisogna.

 

ORNELLA: O Aligi, Aligi, annuvolato sposo,

il sonno nelle nari t'è rimaso.

 

FAVETTA: Tu la sai bene la canzon rovescia.

Il tuo pan tu l'hai messo nella fiasca

ed il tuo vino dentro la bisaccia.

 

SPLENDORE: Ecco le donne! Ecco le donne! Vengono.

Su, su, Vienda. Asciùgati le lacrime.

Madre, che fate? Vengono. Scioglietela.

Su, capo d'oro. Asciùgati le lacrime,

ché troppo hai pianto e i belli occhi ti soffrono.

 

(Vienda s'asciugherà il volto col grembiale. Poi nel grembiale, preso per le cocche, riceverà dalla suocera il pane spezzato).

 

CANDIA: In sangue e latte me lo devi rendere!

Ora, su, vieni. Siediti sul trespolo.

Oh Aligi, e tu anche. Vieni. Svégliati.

L'una di qua, l'altro di . Sedetevi

qui, figli, all'uscio della vostra camera,

che bene aperto sia, ché s'ha da scorgere

il letto grande, grande che per empiere

il sacco, dico, io ebbi a manomettere

tutto un pagliaio e ci rimase l'anima,

lo stollo nudo con in vetta il péntolo.

 

(Ella e Splendore porranno due trespoletti contro gli stipiti, e sópravi faranno sedere gli sposi, che composti e immobili si guarderanno. Ornella e Favetta spieranno dalla soglia della porta esterna, al sole ardente).

 

FAVETTA: Ecco, vengono su per la viottola,

tutte in fila: Teòdula di Cinzio,

la Cinerella, Mònica, Felàvia,

la Catalana delle Tre Bisacce,

Anna di Bova, Maria Cora... E l'ultima?

 

CANDIA: Vieni, Splendore, aiutami a distendere

meglio la coltre; che di seta doppia

io te l'ho fatta, nuora cara, e vérzica

come un pratello d'erba vetturina

dove tu sei la pecchia mattutina.

 

(Entrerà con Splendore nella camera nuziale).

 

ORNELLA: Non t'apponi, Vienda? Chi è l'ultima?

Nella canestra ha oro di calbigia,

oro che brilla. Chi può esser mai?

Sotto la spara la sua tempia è grigia

come le piume che fa la vitalba.

 

FAVETTA: La tua vecchia, Vienda, la tua vecchia!

 

(Vienda si leverà, tratta dal balzo del cuore, come per correre in contro; ma nel movimento si lascerà sfuggire dal grembiale il pane spezzato. S'arresterà, sbigottita. Si udranno, di dentro, i colpi dati con la mano aperta a sprimacciare le materasse).

 

ORNELLA (con la voce soffocata): Ah! Libera nos, Domine! Raccatta,

raccatta e bacia, che mamma non veda.

 

(Vienda, come impietrita dal terrore superstizioso, non si chinerà a raccogliere ma guaterà con occhi sgomenti i due pezzi del pane caduti a terra. Aligi, levatosi, occuperà il vano dell'uscio come per impedire la vista alla madre).

 

FAVETTA: Raccatta e bacia, ché l'Angelo piange.

Fa un vóto muto, il più grande che puoi.

Chiama San Sisto, se vedi la morte.

 

(S'udranno i colpi delle sprimacciate. Verranno sul vento, di men lungi, le grida dei mietitori).

 

ORNELLA: San Sisto, San Sisto,

lo spirito tristo

e la mala morte,

di giorno e di notte,

tu caccia da questa

tu caccia da noi;

tu strappa e calpesta

ogni occhio che nuoce.

Qui faccio la croce.

 

(Mormorando lo scongiuro, ella raccatterà rapidamente i due pezzi del pane, li premerà l'un dopo l'altro su la bocca della cognata, poi li riporrà nel grembiale, col pollice vi farà il segno. E trarrà gli sposi a risedére, mentre la prima delle donne con l'offerta frumentaria apparirà nel vano della porta soffermandosi dinanzi alla cintura tesa).

 

 


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