Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La figlia di Iorio
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ATTO SECONDO

Scena settima

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Scena settima

 

Aligi apparirà sul limitare. Scorgendo il padre, perderà ogni colore di vita. Lazaro s'arresterà per volgersi a lui. Il padre e il figlio si guarderanno fisamente.

 

LAZARO: Che c'è egli, Aligi? Che è?

 

ALIGI: Padre, come siete venuto?

 

LAZARO: Succhiato ti fu il sangue, che sei

sbiancato così? Te ne coli

come il siero dalla fiscella,

pecoraio, per lo spavento.

 

ALIGI: Padre, che volete voi fare?

 

LAZARO: Che voglio io fare? Dimanda

rivolgere a me, non t'è lecito.

Ma ti dirò che prendere voglio

la pecora cordesca nel cappio

e trarla dove più mi talenta.

Poi giudicherò del pastore.

 

ALIGI: Padre, non farete voi questo.

 

LAZARO: Come ardimento hai di levare

il viso inverso me? Tu bada

ch'io non te l'arrossi di sùbito.

Va e torna allo stazzo, e rimanti

con la tua mandra dentro la rete

finché io non venga a cercarti.

Per la vita tua, obbedisci.

 

ALIGI: Padre, tolga il Signore da me

ch'io non vi faccia obbedienza.

E voi giudicare potete

del figliuol vostro; ma questa

creatura lasciate in disparte,

lasciatela piangere sola.

Non l'offendete. È peccato.

 

LAZARO: Ah mentecatto di Dio!

Di quale santa tu parli?

Non vedi (ti cascassero gli occhi)

non vedi che costei ha di sotto

le sue pàlpebre, intorno il suo collo

i sette peccati mortali?

Certo, se la vedono i tuoi

montoni, la cozzano. E tu

hai temenza ch'io non l'offenda!

io ti dico che la carrareccia

della strada maestra assai meno

delle costei vergogne è battuta..

 

ALIGI: Se non mi fosse a Dio peccato,

se all'uomo non mi fosse misfatto,

padre, io vi direi che di questo

per la strozza avete mentito.

 

(Farà alcuni passi obliqui e si frapporrà fra il padre e la donna, coprendo lei della sua persona).

 

LAZARO: Che dici? Ti si secchi la lingua!

Mettiti in ginocchio e domanda

perdóno con la faccia per terra,

e non t'ardire più di levarti

innanzi a me, ma carpone

vattene e statti coi cani.

 

ALIGI: Il Signore sia giudice, padre;

ma questa creatura alla vostra

ira non posso lasciare,

se vivo. Il Signore sia giudice.

 

LAZARO: Io ti son giudice. Chi

sono io a te, pel tuo sangue?

 

ALIGI: Voi siete il mio padre a me caro.

 

LAZARO: Io sono il tuo padre; e di te

far posso quel che m'aggrada,

perché tu mi sei come il bue

della mia stalla, come il badile

e la vanga. E s'io pur ti voglia

passar sopra con l'erpice, il dosso

diromperti, be', questo è ben fatto.

E se mi bisogni al coltello

un manico ed io me lo faccia

del tuo stinco, be', questo è ben fatto;

perché io son padre e tu figlio,

intendi? E a me data è su te

ogni potestà, fin dai tempi

dei tempi, sopra tutte le leggi.

E come io fui del mio padre,

tu sei di me, financo sotterra.

Intendi? E se del cervello

questo ti cadde, io tel riduco

in memoria. Inginòcchiati, e bacia

la terra, ed esci carpone,

e va senza volgerti indietro!

 

ALIGI: Passatemi sopra con l'erpice

ma non toccate la donna.

 

(Lazaro gli s'accosterà, senza più contenere il furore; e, levando la corda, lo percoterà su la spalla).

 

LAZARO: Giù, giù, cane, mettiti a terra!

 

(Aligi cadrà su i ginocchi).

 

ALIGI: Ecco, padre mio, m'inginocchio

dinanzi a voi, bacio la terra.

E al nome di Dio vivo e vero,

pel mio primo pianto di quando

vi nacqui, di quando prendeste

me non ancóra fasciato

nelle vostre mani e m'alzaste

verso il Santo Volto di Cristo,

io vi prego, vi prego, mio padre:

Non calpestate così

il cuore del figlio dolente,

non gli fate quest'onta! Vi prego:

Non gli togliete il suo lume,

non lo date alla branca del falso

nemico che gira d'intorno!

Vi prego, per l'Angelo muto

che vede e che ode nel ceppo!

 

LAZARO: Va, va, esci fuori, esci fuori

e dopo ti giudicherò.

Esci fuori, ti dico. Esci fuori.

 

(Crudelmente egli lo percoterà con la corda. Aligi si solleverà tutto tremante).

 

ALIGI: Il Signore sia giudice, e giudichi

fra voi e me, e vegga, e mi faccia

ragione; ma io sopra voi

non metterò la mia mano.

 

LAZARO: Maledetto! T'appicco il capestro...

 

(Gli getterà il cappio per prendergli il capo; ma Aligi schiverà la presa afferrando la corda e togliendola al padre con una stratta improvvisa).

 

ALIGI: Cristo Signore, aiutami tu,

ch'io non gli metta addosso la mano,

ch'io non faccia questo al mio padre!

 

(Furente, Lazaro correrà al limitare chiamando).

 

LAZARO: O Ienne, o tu, Femo, venite,

venite a vedere costui

quel che fa (lo freddasse una serpe!).

Portate le corde. Invasato

è per certo. Minaccia il suo padre!

 

(Accorreranno due bifolchi membruti, portando le corde).

 

Mi s'è ribellato costui!

Maledetto fu sin nel ventre

e per tutti i suoi giorni e di .

Lo spirito malo gli è entrato.

Guardatelo, senza più sangue

la faccia. O Ienne, tu prendilo.

O Femo, hai la corda, tu legalo.

Legatelo e gettatelo fuori

ché io non mi voglio macchiare.

E correte a chiamare qualcuno

che l'escongiurazione gli porti.

 

(I due bifolchi si getteranno su Aligi per sopraffarlo).

 

ALIGI: Fratelli in Dio, non fatemi questo!

Non ti perdere l'anima tua,

Ienne. Ti riconosco. Di te

mi rammento, quand'ero bambino,

che venni a raccoglier l'olive

nel tuo campo, Ienne dell'Eta.

Mi rammento. Non farmi quest'onta,

non vituperarmi così!

 

(I bifolchi lo terranno serrato e cercheranno di legarlo, trascinandolo, mentre egli si divincolerà).

 

Ah, cane! Di peste perissi!

No, no, no! Mila, Mila, corri,

prendimi un ferro. Mila! Mila!

 

(Si udrà ancóra la sua voce rauca e disperata, mentre Lazaro chiuderà a Mila lo scampo).

 

MILA: Aligi, Aligi, Dio ti vaglia!

Dio ti vendichi! Non disperare.

Forza non ho, forza non hai.

Ma, finché m'è in bocca il mio fiato,

sono di te, sono per te!

Abbi fede. L'aiuto verrà.

Fa cuore, Aligi. Dio ti vaglia!

 

 


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