Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La figlia di Iorio
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ATTO TERZO

Scena prima

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Scena prima

 

Il cadavere di Lazaro sarà steso sul nudo suolo, dentro la casa, poggiato il capo a un fascio di sermenti, secondo il costume. E le Lamentatrici gli staranno d'intorno inginocchiate. Di loro una intonerà, l'altre in coro voceranno; e per fare il lamento si chineranno l'una verso l'altra tenendo fronte con fronte. Sotto il portico, fra l'aratro e il tino, staranno le donne del parentado, e Splendore e Favetta. Più oltre, Vienda di Giave sarà seduta su una pietra, con l'aspetto di una morente, confortata dalla sua madre e dalla sua madrina. Sola Ornella sarà sotto l'albero, con lo sguardo rivolto verso il sentiero. Tutte in gramaglia.

 

IL CORO DELLE LAMENTATRICI: Iesu Cristo, Iesu Cristo,

l'hai possuto sofferire!

D'esta morte scellerata

dovìa Lazaro morire!

S'è veduto a vetta a vetta

tutto, 'l monte isbigottire.

S'è veduto in ciel lo sole

la sua faccia ricuoprire.

 

Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!

Ahi, che pianto si piange per te!

 

Requiem aeternam dona ei, Domine.

 

ORNELLA: Ora viene! Ora viene! Si vede

lo stendardo nero, e la polvere.

Sorelle, sorelle, pensate

alla madre, che si prepari...

che il cuor non le scoppi... Fra poco

viene. Ecco, laggiù alla svolta,

lo stendardo nero apparito!

 

SPLENDORE: Maria della Pietà, pel tuo Figlio

messo in croce, tu sola puoi dirlo

alla madre, e tu parlale dentro!

 

(Alcune donne esciranno del portico a guardare).

 

ANNA DI BOVA: È il cipresso del campo a Fiumorbo.

 

FELÀVIA SÈSARA: È l'ombra del nuvolo in terra.

 

ORNELLA: Non è né il cipresso né l'ombra

del nuvolo, donne. Io lo vedo:

né il cipresso né il nuvolo, ahimè.

Lo stendardo è del Malificio,

che l'accompagna. Ora viene,

per il commiato di morte,

per aver dalla madre la tazza

del consólo e andarsene a Dio.

Ah perché non moriamo noi tutte

dietro a lui? Sorelle, sorelle!

 

(Le sorelle si volgeranno alla porta e guateranno).

 

IL CORO DELLE LAMENTATRICI: Iesu Iesu, meglio era

ch'esto tetto si sfacesse.

Ahi che troppo è gran dolore,

Candia della Leonessa,

l'uomo tuo su nuda terra,

e guancial non gli è permesso!

Solo un fascio di sermenti

sotto il capo gli fu messo!

 

Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!

Ahi, che pena si pena per te!

 

Requiem aeternam dona ei, Domine.

 

SPLENDORE: Favetta, va tu; va e parla.

Va tu; e le tocca una spalla,

ch'ella senta e si volga. Seduta

su la pietra del focolare

sta, fisa; e ciglio non muove,

e par che non veda e non oda,

e pare sia tutta una pietra.

Vergine di misericordia,

non le togliere il senno, alla misera!

Fa che ci guardi e negli occhi

nostri si riconosca la misera!

Ma io cuore non ho di toccarla.

E chi le dirà la parola?

Sorella, va e dille: Ecco viene.

 

FAVETTA: Né io non ho cuore. Ho spavento.

Non me la ricordo com'era,

e né mi ricordo la voce

com'era prima che fossimo

in doglia. Incanutita s'è tutta,

e ogni ora più bianco diventa

il suo capo. Mi pare che nostra

non sia più; mi pare distante

e che stia seduta su quella

pietra da cent'anni e per altri

cent'anni, e più non si ricordi

di noi... Vedete, vedete

come tien chiusa la bocca!

Più chiusa di quella ch'è fatta

muta per sempre in terra.

Come dunque parlare potrà?

Io non la tocco, io non le dico:

Ecco viene. Se si scuote,

cade, stramazza. Ho spavento.

 

SPLENDORE: Ah perché siamo nate, sorelle?

Perché ci partorì nostra madre?

Ci prendesse tutte in un fascio

la morte, ci portasse con sé!

 

IL CORO DELLE PARENTI: - Ah che pietà, creature!

- Che pietà di voi, creature!

- Su, fate cuore, che Dio

vi rialzerà, se v'ha stronche.

- Dio vi la trista vendemmia

ma forse l'oliva sarà

meno scura. Abbiate fidanza.

- E c'è una che forse è più misera

di voi, c'è una che stava

nella sua casa, in mezzo al suo pane,

qui entrò, s'addormì, si svegliò

a sorte perversa, e non ebbe

più bene e si muore: Vienda.

- È già nel mondo di .

- E quella non si lagna e non lacrima.

- Ah che pietà della carne

cristiana, della vita nostra,

di tutta la gente che nasce

dolora trapassa e non sa!

 

ORNELLA: Ecco viene Femo di Nerfa

il bifolco, viene correndo.

E lo stendardo s'è fermo

al Tabernacolo bianco.

Sorelle, volete ch'io stessa

vada e la parola le porti?

Ahimè, forse non si rammenta

quel che bisogna. Ma, Dio

liberi, se pronta non è

ed ei sopraggiunge e la chiama

e all'improvviso ella ode la voce,

allora certo il cuore le scoppia.

 

ANNA DI BOVA: Ah che certo il cuore le scoppia,

Ornella, se tu vai e la tocchi.

Hai la mala ventura con te;

e tu fosti a chiuder la porta

e tu fosti a sciogliere Aligi.

 

 

IL CORO DELLE LAMENTATRICI: A chi lo lasci l'aratro,

oh Lazaro, a chi lo lasci?

Chi ti vanga il campo tuo,

la tua mandra chi la pasce?

Padre e figlio l'Inimico

ha pigliato con un laccio.

Morte infame, morte infame,

corda e sacco e ferro d'asce!

 

Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!

Ahi, che scempio si pate per te!

 

Requiem aeternam dona ei, Domine.

 

(Apparirà il bifolco ansante).

 

FEMO DI NERFA: Dov'è Candia? Figliuole del Morto,

il giudizio è fatto. Baciate

la polvere, prendete la cenere.

Il Giudice del Malificio

ha dato sentenzia finale,

e tutto il popolo è giustiziere

del parricida e l'ha nelle mani.

Ora il fratel vostro lo portano

qui, a pigliar perdonanza

dalla madre sua, che la madre

la tazza gli dia del consólo,

prima che la mano gli tàglino,

prima che nel sacco lo sèrrino

col can mastino e lo gèttino

al fiume in dove fa gorgo.

Figliuole del Morto, baciate

la polvere, prendete la cenere.

E Nostro Signore Gesù

abbia pietà del sangue innocente!

 

(Le tre sorelle correranno l'una verso l'altra e si stringeranno insieme, capo con capo, restando nell'atto. Si udrà a quando a quando il rullo sordo del tamburo funereo).

 

MARIA CORA: O Femo, e perché l'hai tu detto?

 

FEMO DI NERFA: Dov'è Candia che non apparisce?

 

LA CINERELLA: Su la pietra del focolare,

è : non fa segnomotto.

 

ANNA DI BOVA: E nessuno si ardisce toccarla.

 

LA CINERELLA: Ne hanno spavento le figlie.

 

FELÀVIA SÈSARA: E tu, Femo, hai testimoniato?

 

LA CATALANA: E Aligi l'avesti vicino?

E, innanzi al giudice, che disse?

 

MÒNICA DELLA COGNA: Che disse? che fece? Urla mise

e diè nelle smanie il meschino?

 

FEMO DI NERFA: Sempre ginocchione si stette

e si guardava la mano.

E diceva ogni tratto: «Mea culpa».

E innanzi a sé baciava la terra.

E aveva un viso umile e pio

così che pareva innocente.

E l'Angelo intagliato nel ceppo

era con la macchia di sangue.

E molti piangevano intorno.

E taluno diceva: «È innocente».

 

ANNA DI BOVA: E la mala femmina Mila

di Codra ritrovata non fu?

 

LA CATALANA: La figlia di Iorio dov'è?

Non se n'ha novella? Che sai?

 

FEMO DI NERFA: Cercata per gli stazzi fu molto

ma nessuna traccia lasciò.

I pastori non l'hanno veduta.

Solo Cosma, il santo dei monti,

dice averla veduta e che in qualche

forra è andata a gittar l'ossa sue.

 

LA CATALANA: La tròvino i corvi ancor viva

e gli occhi le bécchino, i lupi

la tròvino viva e la stràccino!

 

FELÀVIA SÈSARA: E sempre rinasca allo strazio

la carne sua maledetta!

 

MARIA CORA: Taci, taci, Felàvia. Silenzio!

Silenzio! Candia s'è alzata,

cammina, ora viene alla soglia,

ora esce. Figliuole, figliuole,

s'è alzata. Reggetela voi.

 

(Le sorelle si scioglieranno e andranno verso la porta).

 

IL CORO DELLE LAMENTATRICI: Candia della Leonessa,

dove vai? Chi t'ha chiamata?

Sigillata è la tua bocca,

il tuo piede è catenato.

Lasci dietro a te la morte

e t'imbatti nel peccato!

Unque vai, unque ti volti,

il cammino è disperato.

 

Ahi, ahi, cenere misera, ahi vedova,

ahi madre! Iesu Iesu, pietà!

 

De profundis clamavi ad te, Domine.

 

(La madre apparirà su la soglia).

 

 


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