Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La figlia di Iorio
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ATTO TERZO

Scena seconda

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Scena seconda

 

Le figlie faranno l'atto di sostenerla trepidando. Ella le guarderà attonita.

 

SPLENDORE: Madre cara, ti sei levata. Forse

ti bisogna qualcosa, un sorso almeno

di vin moscato, un po' di cordiale?

 

FAVETTA: E screpolato t'è il labbro tuo caro

dalla secchezza. Vuoi che ti si bagni?

 

ORNELLA: Mamma, fa cuore. Siamo qui con te.

Alla prova più trista Iddio ti chiama.

 

CANDIA DELLA LEONESSA: E d'una tela viense tanta trama

e d'una fonte viense tanto fiume

e d'una quercia viense tante rame

e d'una madre tante creature!

 

ORNELLA: Mamma, la fronte ti coce. Oggi è un tempo

che fa afa; e t'è grave questo panno.

Tutto in sudore t'è il tuo caro viso.

 

MARIA CORA: Gesù Gesù, che non esca di senno!

 

LA CINERELLA: Vergine, che il farnetico le passi!

 

CANDIA: È tanto tempo che non ho cantato,

non so se la ritrovo l'aria mia.

Ma oggi è venardì e non si canta;

il Signore s'è messo in penitenza.

 

SPLENDORE: O madre mia, dove sei con la mente?

Guardi e non ci conosci! Qual pensiero

ti trae? Misere noi, che è mai questo?

 

CANDIA: Questo è il pianeta, e questo è il Sacramento,

e questo è il campanile di San Biagio,

e questo è il fiume e questa è la mia casa.

Ma chi è questa che sta su la porta?

 

(Un terrore sùbito assalirà le giovanette. Si discosteranno alquanto a riguardare la madre, e gemeranno sommesse).

 

ORNELLA: Ah, sorelle, sorelle mie, perduta

l'abbiamo! Anche la madre nostra abbiamo

perduta! Escita è di senno, vedete.

 

SPLENDORE: Sventura nostra! Maledette siamo

da Dio. Siamo rimaste sole in terra!

 

FAVETTA: O donne, buone parenti, scavateci

la fossa accanto a quell'altra, e metteteci

tutte e tre giù, così come siam vive.

 

FELÀVIA SÈSARA: No, non isbigottite, creature;

ché la percossa le ha riversa l'anima,

l'ha risospinta nel tempo di già.

Lasciatela che svaghi; e poi ritorna.

 

(Candia farà qualche passo).

 

ORNELLA: Madre, mi senti? Dove vuoi andare?

 

CANDIA: Il core ho perso d'un dolce figliuolo,

or è trentatre giorni, e non lo trovo!

L'hai tu veduto, l'hai tu riscontrato?

- Io sul Monte Calvario l'ho lasciato,

i' l'ho lasciato sul Monte distante,

l'ho lasciato con lacrime e con sangue.

 

MARIA CORA: Ah, dice l'ore della Passione.

 

FELÀVIA SÈSARA: Lasciatela, lasciatela che dica.

 

LA CINERELLA: Lasciatela, che il cuore le si scarichi.

 

MÒNICA DELLA COGNA: O Madonna del Santo Venardì,

miserere di lei. Ora pro nobis.

 

(Le donne del parentado s'inginocchieranno pregando).

 

CANDIA: Ecco e la Madre si mette in cammino,

viene alla vista del suo dolce figlio.

- O madre, madre, perché sei venuta?

Tra la gente giudea non v'è salute.

- Portato un braccio t'ho di pannolino

per ricuoprirti il tuo corpo ferito.

- Deh portato m'avessi un sorso d'acqua!

- Figlio, non sostradafontana;

ma, se la testa un poco puoi chinare,

una goccia di latte io ti vo' dare;

e, se latte non esce, tanto spremo

che tutta la mia vita esce del seno.

- O madre, madre, parla piano piano...

 

(Ella s'arresterà per qualche attimo nella cadenza; poi griderà d'improvviso, con una voce disperata).

 

Madre, madre, dormii settecent'anni,

settecent'anni; e vengo di lontano.

Non mi ricordo più della mia culla.

 

(Colpita dal suo stesso grido, ella si guarderà intorno sgomenta, come risvegliandosi di soprassalto. Le figlie correranno a sostenerla. Le donne si leveranno. Si udrà più presso il rullo del tamburo allentato).

 

ORNELLA: Ah come trema, come trema tutta!

Ora vien meno. Più non regge l'anima.

Da due giorni è digiuna, e si svanisce.

 

SPLENDORE: Mamma, chi parla in te? Chi senti tu

dentro parlarti, dentro le tue viscere?

 

FAVETTA: Dacci udienza, poni mente a noi,

guardaci in viso. Siamo qui con te.

 

FEMO DI NERFA (dal fondo): Donne, donne, è qui presso con la turba.

Lo stendardo ora passa la cisterna.

Portano anche l'Angelo coperto.

 

(Le donne si aduneranno sotto la quercia a guatare verso il sentiero).

 

ORNELLA (a gran voce):Madre, ora viene Aligi, viene Aligi

a pigliar perdonanza dal tuo cuore,

a bevere la tazza del consólo

dalle tue mani. Svégliati e sta forte.

Maledetto non è. Col pentimento

il sacro sangue sparso ei lo riscatta.

 

CANDIA: È vero, è vero. Con le foglie trite

fu ristagnato il sangue che colava.

«Figlio Aligi» gli disse «figlio Aligi,

lascia la falce e prenditi la mazza;

fatti pastore e va su la montagna».

E fu guardato il suo comandamento.

 

SPLENDORE: Hai bene inteso? Il figlio Aligi arriva.

 

CANDIA: E alla montagna deve ritornare.

Come farò? Le sue camicie nuove

non ho finito di cucirgli, Ornella!

 

ORNELLA: Madre, andiamo. Fa questo passo. Vòlgiti.

Aspettarlo bisogna innanzi casa.

Donàmogli commiato, a lui che parte.

E poi ci colcheremo tutte in pace,

a fianco a fianco, nel letto di giù.

 

(Le figlie ricondurranno la madre sotto il portico).

 

CANDIA (tra sé mormorando): Io mi colcai e Cristo mi sognai.

Cristo mi disse: «Non aver paura».

San Giovanni mi disse: «Sta sicuro».

 

IL CORO DELLE PARENTI: - Oh che turba di gente viene dietro

lo stendardo! Vien tutta la contrada.

- Iona di Midia porta lo stendardo.

- E che silenzio, come a processione!

- Ah che pietà! Sul capo il velo nero.

- Le ritorte di legno alle sue mani,

come pesanti, grosse come un giogo!

- E col càmice bigio e i piedi scalzi.

- Ah chi ci regge? Io metto faccia in terra

e chiudo gli occhi, e non voglio vedere.

- Lonardo della Roscia porta il sacco

di cuoio; Biagio Gudo, il can mastino.

- Mettetegli nel vino un po' di ràdica

di solatro, che perda il sentimento.

- Cocetegli nel vino erba morella,

ch'esca della memoria e non s'accorga.

- Va, Maria Cora, che sai medicina,

aiuta Ornella a fare il beveraggio.

- Grande il misfatto ma grande il patire.

- Ah che pietà! Guarda la gente, come

è muta! Viene tutta la contrada.

- Han lasciato le vigne in abbandono.

- Oggi uva non si coglie. Anco la terra

è a lutto. Chi non piange? Chi non piange?

- Guarda Vienda. Pare in agonia.

- Meglio per lei, che ha perso conoscenza.

- Meglio per lei, se non ode e non vede.

- Ahi, che destino amaro! Or è tre mesi

che venimmo portando le canestre.

- E il male che verrà, chi lo misura?

- Non vi saranno lacrime per piangere.

 

FEMO DI NERFA: Silenzio, donne! Silenzio! Ecco Iona.

 

(Le donne si ritrarranno verso il portico. Si farà gran silenzio).

 

LA VOCE DI IONA: O vedova di Lazaro di Roio

o gente della casa sciagurata,

all'erta, all'erta! Viene il penitente.

 

 


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