Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'innocente
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Che fare? Rimanere ancóra in Roma ad aspettare un'esplosione di follia dal mio cervello, in mezzo a quel fuoco, sotto quella rabbiosa canicola? Partire per il mare, per la montagna, andare a bevere l'oblio fra la gente, nei ritrovi eleganti d'estate? Risvegliare in me l'antico uomo voluttuario, alla ricerca di un'altra Teresa Raffo, di una qualunque amante vana?

Due o tre volte m'indugiai nel ricordo della biondissima; che pure m'era caduta interamente dal cuore e anche, per un lungo periodo, dalla memoria. «Dove sarà ella? Sarà ancóra legata con Eugenio Egano? Che proverei nel rivederlaEra una curiosità fiacca. M'accorsi che il mio desiderio unico e profondo e invincibile era di tornare laggiù, alla mia casa di pena, al supplizio.

Presi con la massima sollecitudine i provvedimenti necessarii; feci una visita al dottor Vebesti, telegrafai alla Badiola il mio ritorno; e partii.

L'impazienza mi divorava; un'ansia acuta mi pungeva, quasi che io andassi incontro a straordinarie novità. Il viaggio mi parve interminabile. Disteso su i cuscini, oppresso dal caldo, soffocato dalla polvere che penetrava per gli interstizi, mentre il romore monotono del treno si accordava al canto monotono delle cicale senza sopire il mio fastidio, io pensavo agli eventi prossimi, consideravo le possibilità future, cercavo di scrutare la grande ombra. Il padre era mortalmente colpito. Quale sorte attendeva il figlio?

 

 


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