Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'innocente
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Il dottor Jemma, cavaliere del Sacro Sepolcro di Gerusalemme, un bel vecchio gioviale, portò a Giuliana in dono matutino un mazzo di crisantemi bianchi.

- Oh, i fiori che io prediligo! - disse Giuliana. - Grazie.

Prese il mazzo, lo guardò a lungo insinuandovi le dita affilate: e una triste rispondenza correva tra il suo pallore e il pallore dei fiori autunnali. Erano crisantemi ampli come rose aperte, folti, grevi; avevano il colore delle carni malaticce, esangui, quasi disfatte, la bianchezza livida che copre le guance delle piccole mendicanti intirizzite dal gelo. Alcuni portavano lievissime venature violacee, altri pendevano un poco nel giallo, delicatamente.

- Tieni - ella mi disse. - Mettili nell'acqua.

Era di mattina; era di novembre; era di poco trascorso l'anniversario d'un giorno nefasto che quei fiori rammemoravano.

 

Che farò senza Euridice?...

 

Mi sonò nella memoria l'aria di Orfeo, mentre mettevo in un vaso i crisantemi bianchi. Si risollevarono nel mio spirito alcuni frammenti della scena singolare accaduta un anno innanzi; e rividi Giuliana in quella luce dorata e tepida, in quel profumo così molle, in mezzo a tutti quegli oggetti improntati di grazia feminile, dove il fantasma della melodia antica pareva mettere il palpito d'una vita segreta, spandere l'ombra d'un non so che mistero. - Avevano suscitato anche in lei qualche ricordo quei fiori?

Una mortale tristezza mi pesava su l'anima, una tristezza d'amante inconsolabile. L'Altro ricomparve. I suoi occhi erano grigi come quelli dell'intruso.

Il dottore mi disse, dall'alcova:

- Potete aprire la finestra. È bene che la stanza sia molto aerata, che entri molto sole.

- Oh, sì, sì, apri! - esclamò l'inferma.

Apersi. In quel punto entrò mia madre con la nutrice che portava su le braccia Raimondo. Io restai fra le tende, mi chinai sul davanzale, guardai la campagna. Udivo dietro di me le voci familiari.

Era sul finire di novembre, era già passata anche l'estate dei morti. Una grande chiarità vacua si spandeva su la campagna umida, sul lineamento nobile e pacato dei colli. Sembrava che per le cime degli oliveti indistinte vagasse un vapore argenteo. Qualche filo di fumo qua e biancicava al sole. Oraora no il vento portava un crepito di foglie labili. Il resto era silenzio e pace.

Io pensavo: «Perché ella cantava, quella mattina? Perché udendola provai quel turbamento, quell'ansietà? Ella mi pareva un'altra donna. Amava ella dunque colui? A quale stato del suo animo rispondeva quell'effusione insolita? Ella cantava, perché amava. Forse anche m'inganno. Ma non saprò mai il vero!». Non era più la torbida gelosia dei sensi ma un rammarico più alto, che mi si partiva dal centro dell'anima. Pensavo: «Quale ricordo ha ella di colui? Quante volte il ricordo l'ha punta? Il figlio è un legame vivente. Ella ritrova in Raimondo qualche cosa dell'uomo che l'ha posseduta: ella ritroverà somiglianze più certe. Non è possibile ch'ella dimentichi il padre di Raimondo. Forse ella lo ha sempre davanti agli occhi. Che proverebbe se lo sapesse condannato?».

E m'indugiai nell'imaginare i progressi della paralisi, nel formare dentro di me imagini di colui a similitudine di quelle che mi dava il ricordo del povero Spinelli. E me lo rappresentavo seduto su una gran poltrona di cuoio rosso, pallido d'un pallor terreo, con tutti i lineamenti della faccia irrigiditi, con la bocca dilatata e aperta, piena di saliva e d'un balbettio incomprensibile. E lo vedevo fare ad ogni tratto sempre il medesimo gesto per raccogliere in un fazzoletto quella saliva continua che gli colava dagli angoli della bocca...

- Tullio!

Era la voce di mia madre. Mi volsi, andai verso l'alcova.

Giuliana stava supina, molto abbattuta, silenziosa. Il dottore esaminava sul capo del bambino un principio di crosta lattea.

- Faremo dunque il battesimo dopo domani - disse mia madre: - Il dottore crede che Giuliana dovrà rimanere ancora qualche tempo a letto.

- Come la trovate, dottore? - domandai al vecchio, accennando l'inferma.

- Mi pare che ci sia un po' di sosta nel miglioramento - rispose, scotendo la bella testa canuta. - La trovo debole, molto debole. Bisogna accrescere la nutrizione, fare qualche sforzo...

Giuliana interruppe, guardandomi con un sorriso stanchissimo:

- M'ha ascoltato il cuore.

- Ebbene? - io chiesi, volgendomi sùbito al vecchio.

Mi parve di vedergli passare su la fronte un'ombra.

- È un cuore sanissimo - rispose sùbito. - Non ha bisogno che di sangue... e di tranquillità. Su, su, animo! Come va l'appetito stamani?

L'anemica mosse le labbra a un atto quasi di disgusto. Fissava la finestra aperta, quel lembo di cielo delicato.

- È una giornata fredda, oggi? - domandò con una specie di timidezza, ritraendo le mani sotto le coperte.

E rabbrividì visibilmente.

 

 


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