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Invocazione 9.
Bocca amata, soave e pur dolente,
qual già finsero l’Arte e il Sogno mio;
ambigua forma, tolta a un semidio,
al bello Ermafrodito adolescente;
che a me, dove più forte urge il desìo,
a me sommerso in un profondo oblìo
suggi la vita infaticabilmente;
o gran chioma diffusa in su’ ginocchi
miei nel dolce atto; o fredda man che spandi
il brivido e mi senti abbrividire;
o voi, tra i lunghi cigli languidi occhi,
che v’aprite al mio grido ultimo e grandi
lampeggiate guardandomi morire,
oh ch’io muoia, ch’io muoia al fin di vera
morte e quel grido il grido ultimo sia
spoglia s’irrori ne la dolce sera
e tutti i mirti de la primavera
le sian letto e gli aromi di Sirìa
l’aspergano ed in grave teoria
la traggan per la pallida riviera
con lenti inni gli Efebi (a le seguaci
Vergini tremi sotto la ghirlanda
la gota lungo il flauto sonora)
e s’accendano gli astri come faci
e al termine degli inni in ciel si spanda
come una rosa la divina Aurora!