Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Intermezzo
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Invocazione 9.

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Invocazione 9.

Καλὸς τέθνακε μελικτάς.

Bocca amata, soave e pur dolente,

qual già finsero l’Arte e il Sogno mio;

ambigua forma, tolta a un semidio,

al bello Ermafrodito adolescente;

o bocca sinuosa umida ardente

che a me, dove più forte urge il desìo,

a me sommerso in un profondo oblìo

suggi la vita infaticabilmente;

o gran chioma diffusa in su’ ginocchi

miei nel dolce atto; o fredda man che spandi

il brivido e mi senti abbrividire;

o voi, tra i lunghi cigli languidi occhi,

che v’aprite al mio grido ultimo e grandi

lampeggiate guardandomi morire,

oh ch’io muoia, ch’io muoia al fin di vera

morte e quel grido il grido ultimo sia

veramente e di lacrime la mia

spoglia s’irrori ne la dolce sera

e tutti i mirti de la primavera

le sian letto e gli aromi di Sirìa

l’aspergano ed in grave teoria

la traggan per la pallida riviera

con lenti inni gli Efebi (a le seguaci

Vergini tremi sotto la ghirlanda

la gota lungo il flauto sonora)

e s’accendano gli astri come faci

e al termine degli inni in ciel si spanda

come una rosa la divina Aurora!



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