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L’erma 13.
Quando io mi adagio tristo e sonnolente
poi che più nulla al fine ora m’illude,
(treman l’ultime stelle semispente
riflesse ne la torbida palude),
una forma di donna lentamente
da la fredda ombra come un fior si schiude,
e sorge a l’alto; ed il gran fior vivente
mi raggia il lume de le membra ignude.
Io sollevo la fronte: nel torpore
un insensato d’odio impeto immane
mi soffoca, d’infranger quella muta
forma, quella funesta erma d’amore
che solitaria a contemplar rimane
la selva de’ miei venti anni abbattuta.