Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Intermezzo
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Eleganze

Il peccato di maggio 30.

I

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I

Or così fu; pel bosco andando. Era sottile

la mia compagna e bionda. Su la nuca infantile

due ciocche avean quegli ignei luccicori vermigli

che a le chiome antiche il Tadema. Tra i cigli

lunghi gli occhi avean l’iride verde risfavillante

di mille atomi d’oro. Da l’alta erba odorante

ella sorgeva eretta come un vivente stelo.

Andavamo pel bosco, soli. Grandi su ’l cielo

gli alberi parean fusi nel bronzo; ma di sotto

a le scorze, passando, udivamo interrotto

ascendere il pugnace fremito de le linfe

e il romper de le gemme anche udivamo.

O ninfe

amadriadi, occulte ne le estreme radici,

non voi dunque cantaste su ’l passaggio gli auspìci

a l’amore? —

Io guardava Yella, muto. Le acerbe

risa di lei, tra ’l vasto fluttuare de l’erbe

al vento, sotto i dòmi alti de la verdura,

squillavano. Ed al riso le si schiudea la pura

chiostra de i denti, al riso l’arco de la gengiva

quasi ferinamente rosso le si scopriva.

Io guardava aspirando voluttuosamente;

poi che il corpo di lei esalava un ardente

profumo, come un frutto maturo. Una serena

anima era nel bosco sparsa; ma in ogni vena

a me correva l’aspro vin de la giovinezza…

Oh freschissime risa tintinnanti a la brezza

del vespro, salutanti dal bel grembo selvaggio

di un bosco il morituro sol di calendimaggio!


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