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II
Soli andavamo. — Ah, senti, senti i merli fischiare —
ella disse, fermandosi. Dal ciel crepuscolare
discendeva su i rami la nebbia violetta.
— Senti, senti! — D’un tratto, dietro l’ultima vetta
scomparve, in fondo al lago de le nuvole, il sole.
Allora fu una molle cascata di viole
ne l’aria. Un solco d’oro s’apriva basso; rotto
il bagliore su i culmini indugiava; di sotto
a i culmini illustrati, già ne l’assopimento
grave i tronchi annegavano. Lente nel vapor lento
de la sera le cose perdevano le forme.
Le viole cadevano; era una pioggia enorme.
Tutto il bosco, un istante, parve a la mia vista
una maravigliosa foresta di ametista
che risplendeva; e Yella parve la maga. Eretta
fra l’erba, d’un’aerea tunica violetta
circonfusa, a quell’ultima luce crepuscolare
ella diede l’addio con un alto cantare.
Ella cantava ancóra al mio fianco. Una ciocca
de’ suoi capelli, a tratti, mi sfiorava la bocca;
ed il profumo, l’anima di quella cosa viva,
m’irritava le nari avide, mi saliva
pe ’l capo. Io le guardai la gola palpitante
al ritmo de le note: come bianca!
le piante
Or vanivan d’intorno le nebbie di viola
ne l’aria; una penombra dolce velava l’aria,
e su da la foresta profonda e solitaria
sorgevano le voci de le cose, gli odori
de le cose. Pareva, non so, come dai fiori
da le foglie da l’erbe un sogno vegetale
salisse e si spandesse, grande e soave; quale,
non so, da le dormenti acque a l’alba un vapore.
Io respirava un sogno di foresta in amore.
Ella cantava; e il puro canto rendeva pure
tutte le cose.