Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Intermezzo
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Eleganze

Il peccato di maggio 30.

IV

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IV

Quando il grande letargo del bosco nei chiarori

lunari si sommerse, crescevano gli odori

su dal bosco profondo in marea fresca; e il vento

carico de gli odori per quel biancheggiamento

alitava, recando come lunghi bramiti

di cervi in lontananza. Or le cerve da i miti

occhi umani, in ascolto, ad ogni più leggero

alito trasalivano, trepide nel mistero

de l’ombre vigilando se non già fra le piante

brillassero i terribili occhi del fulvo amante.

Era il desìo diffuso ovunque. I secolari

tronchi di quercia ergevano agli incanti lunari

le membra, come atleti che chiedessero abbracci

ansando ed anelando, non più paghi dei lacci

d’un’edera. Pareano truci mostri in agguato

taluni alberi a l’ombra; altri da un delicato

artefice scolpiti nei diaspri più rari,

divine opre notturne. E gli incanti lunari

mi fingeano a la vista lunghi ordini lontani

di cupole e di aguglie, adunanze di strani

palagi, fughe d’alti portici risplendenti:

una città di sogno!

Ma gli odori crescenti

attossicavan l’aria, ma da quel gran letargo

vegetale un respiro saliva, quasi il largo

respiro d’una belva; ma mille voci rotte

di piacere turbavano il bosco ne la notte.


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