Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Intermezzo
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Eleganze

Venere d’acqua dolce 31.

V

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V

Poi disparve: qual dea. Sotto i segreti

pioppi io l’attesi, vigilando in vano

se tra i fochi del vespro pe’ i canneti,

come un giorno, cantasse di lontano.

Bevvero altri amatori, altri poeti

il grande effluvio del divino e umano

fiore? O il fior si disciolse ne le spume

misteriose del natale fiume?

Io non so; né saprò. Ma la verdura

dove io primo l’amai, dove sommessa

io l’ebbi ignuda a me tutta, la pura

forma dei lombi e de le reni impressa

ritenne, come se per avventura

una statua d’oro tra la spessa

erba fosse rimasta ivi abbattuta

da tempo antico. E in quell’impronta muta,

in quel vestigio di bellezza io, steso

immobilmente come in una bara,

sentii vivere ancor sotto il mio peso

la terra, udii fluir ne la Pescara

l’onda e la pace. E dal mio sangue acceso

la tua potenza rifioriva, o Nara,

come oggi, in larghi versi che per l’aria

si perdevan ne l’ora solitaria.



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