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III
Egli era il Tipo umano, era la forma pura
che la grande Arte antica eternava nel pario.
Il sole avea coperto quasi di un’armatura
sottilissima d’oro quel corpo statuario.
E su ’l collo una testa di Apollo Musagete
sorgea, piena d’imperio ne la fronte regale.
S’Ei passava, le femmine un ardore carnale
prendea. Come l’incendio scoppia ne la quiete
de la notte serena in un bosco che dorme,
ed al vento propagasi, ed un albero accende
l’altro, e fiammeggia ogni albero simile ad una enorme
face, sin che nel bosco tutta una fiamma splende,
così per quelle femmine correa l’ardore.
In torno
era maggio. Ne i pascoli ampi una portentosa
vita si propagava, trionfava. Ogni cosa
avea colore e suono per la gloria del Giorno.
I tori grandi e truci, da gli occhi di bisonte,
battendosi la coda su le cosce, su i fianchi,
fin su la schiena fulva, s’appressavano a fronte
bassa; ed i mugghi lunghi di richiamo da i branchi
de le giovenche uscivano perdendosi ne l’ora.
I capri su le gambe di fauno erti a la pugna
intrecciavan le corna. I poledri da l’ugna
vergine ancor di ferro, sotto l’ombra sonora
de le querci, adunati, acuivano gli occhi
vivi d’inquietudine pe ’l lontano, od al fiume
immersi ne le fredde acque sino a i ginocchi
si mordeano godendo lascivir tra le schiume.
I prati erano al sole come un grande estuario
lucido fluttuante, d’onde sorgeano come
isole i vasti gruppi d’alberi da le chiome
a i vènti strepitose. E l’eroe solitario
nel conspetto di tanta vita e di tanto amore,
mentre al sole i mammiferi si congiungeano e i gridi
di conquista irrompeano, sentiva il suo vigore
ingigantire in ogni arteria. Allor da i nidi,
allora da le piante, dal popolo ferino,
da ogni creatura vivente, da l’intero
mondo che respirava, sorse allora il Mistero
a rivelarsi: dolce, terribile e divino.