Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Intermezzo
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Eleganze

La tredicesima fatica 34.

III

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III

Egli era il Tipo umano, era la forma pura

che la grande Arte antica eternava nel pario.

Il sole avea coperto quasi di un’armatura

sottilissima d’oro quel corpo statuario.

E su ’l collo una testa di Apollo Musagete

sorgea, piena d’imperio ne la fronte regale.

S’Ei passava, le femmine un ardore carnale

prendea. Come l’incendio scoppia ne la quiete

de la notte serena in un bosco che dorme,

ed al vento propagasi, ed un albero accende

l’altro, e fiammeggia ogni albero simile ad una enorme

face, sin che nel bosco tutta una fiamma splende,

così per quelle femmine correa l’ardore.

In torno

era maggio. Ne i pascoli ampi una portentosa

vita si propagava, trionfava. Ogni cosa

avea colore e suono per la gloria del Giorno.

I tori grandi e truci, da gli occhi di bisonte,

battendosi la coda su le cosce, su i fianchi,

fin su la schiena fulva, s’appressavano a fronte

bassa; ed i mugghi lunghi di richiamo da i branchi

de le giovenche uscivano perdendosi ne l’ora.

I capri su le gambe di fauno erti a la pugna

intrecciavan le corna. I poledri da l’ugna

vergine ancor di ferro, sotto l’ombra sonora

de le querci, adunati, acuivano gli occhi

vivi d’inquietudine pel lontano, od al fiume

immersi ne le fredde acque sino a i ginocchi

si mordeano godendo lascivir tra le schiume.

I prati erano al sole come un grande estuario

lucido fluttuante, d’onde sorgeano come

isole i vasti gruppi d’alberi da le chiome

a i vènti strepitose. E l’eroe solitario

nel conspetto di tanta vita e di tanto amore,

mentre al sole i mammiferi si congiungeano e i gridi

di conquista irrompeano, sentiva il suo vigore

ingigantire in ogni arteria. Allor da i nidi,

allora da le piante, dal popolo ferino,

da ogni creatura vivente, da l’intero

mondo che respirava, sorse allora il Mistero

a rivelarsi: dolce, terribile e divino.


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