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IV
Presso il fiume da secoli una foresta dorme,
immobile. Gravando, cupa e muta ella sale
nel dominio de l’aria, come una cattedrale
immensa. I tronchi, pile di mostruose forme
ove sembrano incisi grandi enigmi d’un rito
non più sacro fra gli uomini, sorreggono la folta
cupola, e par che incomba lo spirito del mito
ancor su quegli avanzi d’una stirpe sepolta.
Ne l’autunno vi esala l’odore acre de i funghi
che si gonfian tra ’l musco, l’umidità malsana
de’ luoghi sotterranei, dove la voce umana
si perde lentamente giù pe’ recessi, in lunghi
echi, recando come una successione
di terrori in quei vasti e profondi misterii
d’ombra. Pare una selva fossile di carbone,
disotterrata, dove un tempo megaterii
portentosi vivessero prolificando. L’oro
del sole non vi pènetra, non vi pènetra il vento;
pure, a gli occasi l’ombra mormora un suono lento,
triste, infinitamente lontano, come un coro
di anime: ed è il respiro de la grande foresta.
Poi che le nuove linfe pe’ tronchi accidiosi
saliano ad espugnare le cime, e la tempesta
de la vita affluente scotea co’ suoi marosi
invincibili alfine pur quel letargo augusto,
traevan quivi in torme al profondo giaciglio
de l’eroe le fanciulle offerenti il vermiglio
fior de la giovinezza; traevano al robusto
amplesso de l’eroe abbandonando il letto
maritale le mogli. Ed Ei spandea l’amore
abondante e sereno; Ei fornia con vigore
inesausto quell’opera carnale. Nel conspetto
de l’antica foresta da l’immense radici,
stromento inconsapevole d’una Potenza oscura,
con tranquillo vigore in tutte le matrici
Ei gittava il buon seme de la specie futura.