Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Intermezzo
Lettura del testo

Eleganze

La tredicesima fatica 34.

IV

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

IV

Presso il fiume da secoli una foresta dorme,

immobile. Gravando, cupa e muta ella sale

nel dominio de l’aria, come una cattedrale

immensa. I tronchi, pile di mostruose forme

ove sembrano incisi grandi enigmi d’un rito

non più sacro fra gli uomini, sorreggono la folta

cupola, e par che incomba lo spirito del mito

ancor su quegli avanzi d’una stirpe sepolta.

Ne l’autunno vi esala l’odore acre de i funghi

che si gonfian tra ’l musco, l’umidità malsana

de’ luoghi sotterranei, dove la voce umana

si perde lentamente giù perecessi, in lunghi

echi, recando come una successione

di terrori in quei vasti e profondi misterii

d’ombra. Pare una selva fossile di carbone,

disotterrata, dove un tempo megaterii

portentosi vivessero prolificando. L’oro

del sole non vi pènetra, non vi pènetra il vento;

pure, a gli occasi l’ombra mormora un suono lento,

triste, infinitamente lontano, come un coro

di anime: ed è il respiro de la grande foresta.

Poi che le nuove linfe petronchi accidiosi

saliano ad espugnare le cime, e la tempesta

de la vita affluente scotea co’ suoi marosi

invincibili alfine pur quel letargo augusto,

traevan quivi in torme al profondo giaciglio

de l’eroe le fanciulle offerenti il vermiglio

fior de la giovinezza; traevano al robusto

amplesso de l’eroe abbandonando il letto

maritale le mogli. Ed Ei spandea l’amore

abondante e sereno; Ei fornia con vigore

inesausto quell’opera carnale. Nel conspetto

de l’antica foresta da l’immense radici,

stromento inconsapevole d’una Potenza oscura,

con tranquillo vigore in tutte le matrici

Ei gittava il buon seme de la specie futura.


«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL