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I
Come su gli altipiani di Cheresto rinacque
il sole e prima emersero nel rossore i querceti
con un gioioso fremere, vennero in torma a le acque
de ’l fiume le fanciulle di Cube, a i consueti
lavacri. Discendeano ilari per la china,
e cantavano; ed era quale un canto di uccelli.
Non le vesti coprivano le forme. Una ferina
agilità di muscoli rompevasi per quelli
alti sottili bronzei corpi di cacciatrici.
Ne ’l crescente splendore discendeano cantando.
Il sol dietro feriva le lanose cervici
e le reni falcate de le barbare, quando
luccicò tra le rocce il fiume, il patrio fiume,
purissimo, di forza datore, a cui di cani
e di cavalli offrivano tanti, come ad un nume,
sovra il capo ed in arco le membra tese Chiva
de le vergini prima. Alto era ne le sponde
silenzio e ne ’l felice azzurro ove saliva
il naturale tempio de le rocce infeconde.
Risonarono a l’urto di quelle membra l’acque;
e ad una ad una tutte irruppero ne i voli
le compagne. Emergeano ilari su da l’acque,
vergini violate da’ fierissimi soli;
rideano, suscitando ne gli antri gli echi; e vana
facean siepe de i petti fermi a la correntia.
Gorgogliavano gelide contro la siepe umana
l’acque, senza ira; dolci seguitavan la via
dechinante, e la terra de gli Olmecchi guerrieri
E come allora non lungi, tra i pascenti
cavalli, su l’avversa riva giovini arcieri
oziavano (gli archi su ’l terreno giacenti
splendean simili a i corni de la luna), gli orecchi
tesero, sovra i cùbiti erigendosi, quali
fiere odoranti preda, i belli arcieri Olmecchi
e ne l’animo novi agitarono mali
a i Cubiri.
— O di cerve lunghi saettatori —
proruppe un d’essi, in piedi sorgendo; e una rapace
gioia ne gli occhi ardeagli. — Udite! —
feminili su ’l vento giungevan ne la pace
de l’ora.
— Udite, udite! Una preda gioconda
oggi ne manda il padre Fiume, contro a i nemici
Cubiri. Udite i gridi che fan presso la sponda
le fanciulle. E son élleno fortissime amatrici,
di sen ferme, lunate gli òmeri. Ne la pietra
erta è un sentier che reca al bagno: io sarò duce.
Or seguitemi. —
un sol dardo che in pugno diede un guizzo di luce.
Gioirono i feroci sagittarii, e da terra
sorsero tutti, e tutti lasciarono il pesante
arco ed unico tolsero un dardo, poi che a guerra
schiera, secura, le acque. In torno i massi immensi
ne la magnificenza de ’l sol pieno illustrati
sorgevano ed a l’imo pènduli con intensi
riflessi tremolavan ne ’l fiume. De gli agguati
ignare le fanciulle godevano il diletto
salùbre, con la forza de le braccia vincendo
taluna il corso, e tal altra porgendo il petto
inerte a ’l defluire, e tal altra sorgendo
a mezzo il ventre, bronzea, in sua fiera bellezza.
D’improvviso — Tu strepito non odi? — chiese Chiva.
Sostarono, in ascolto; ma non diede la brezza
Ed ecco, in un lampo, da i massi de la riva
irruppero gli arcieri Olmecchi a la rapina
ne l’acque ed a veloci cùpidi inseguimenti
nuotarono, e le mani su la preda vicina
anelando protesero. Davano le fuggenti
in grida; riluttavan, raggiunte, prese a i fianchi,
trascinate a la riva; e te, o padre Fiume,
deprecaron, se mai prima avean cento bianchi
cavalli, o Fiume padre, immolato a ’l tuo nume.
Né in vano deprecarono. Però che l’alte voci
udirono i Cubiri da lungi, e su le vette
de la roccia comparvero lesti, come feroci
aquile. Grande l’ira bolliva, a le vendette
chiamando; e risonavan ne i pugni lor le immani
aste, gli archi da gli òmeri. Ma ristettero incerti
un attimo: i nemici avvinceano con mani
ferree la preda e stavano da la preda coperti
— A te, o padre Fiume, il buon sangue verso
de le vergini! — primo gridò tendendo il forte
arco Sabibli. Acuto fischiò il dardo; e sommerso
cadde un nemico; e a presso altri colse la morte,
e ne la morte seco quelli traean la viva
preda a l’imo. Seguivano, in cuor tristi, gli armati
la strage. De gli Olmecchi cinque preser la riva,
ma ratto li confisse ivi con cinque alati
dardi Sabibli. Due de le vergini a pena
rompeano l’acque, ansanti quali cerve ferite,
ne ’l terror de la morte; e tingean di una vena
sanguigna l’acque. Tesero le braccia irrigidite
a gli accorrenti, ed ultime disparvero.