Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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Eleganze

Il sangue de le vergini 35.

III

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III

E stavano i guerrieri ne l’immensa pianura.

Splendevano i colori de la guerra, gli atroci

simboli, su le fronti; maculavan l’oscura

pelle de i seminudi. L’odio per cui feroci

tutti gli esseri pugnano, l’odio grande e immortale

che arde il sangue de gli uomini, mettea ne’ loro cigli

un foco. Ed era l’odio il terribile male

che avean da i primi padri ereditato i figli.

Ora il Nume felice de la Vita, il Possente,

contemplò senza sdegno quel vasto gregge umano.

Un sorriso pietoso gli movea lentamente

la bocca, quando stese la pacifica mano

da l’alto sovra i popoli, dominando i clamori.

Scendea dolce la pace da quell’ombra, e un giocondo

senso invadea le vene così pe’ i lunghi ardori

de l’odio inaridite.

Poi solenne e profondo,

nel silenzio, l’eloquio de ’l Nume parve un cupo

rimbalzar di valanghe quando sopra le bande

vinte ondeggiò. Fumavano ancòra su ’l dirupo

i tronchi; e il Nume ergeasi mite, fulgido e grande.

O miei poveri figli ebri d’odio e di guerra, —

disse il Nume; e porgeano tutti l’animo intento

oggi vi parla il Padre, quei che a la vostra terra

diede il bove e il cavallo, l’oro, il ferro e l’argento.

Ei benigno moltiplica la ricca selvaggina

ne i boschi, e a ’l cacciatore mostra la buona traccia.

Voi perché, male usando la forza, di rapina

vivete e senza tregua date a l’uomo la caccia?

I pesci empiono i laghi, gli stagni e le riviere;

i volatili passano ne l’aria a immense torme;

i metalli celati in fondo a le miniere

giacciono, ed il terreno ha una virtù che dorme.

Il terreno ha una sacra virtù prolificante,

come le vostre femmine, in grembo chiusa. Or date

la semenza a ’l terreno, figli; e le nuove piante

germineranno in alto felici, alimentate

da ’l Sole. I padri Fiumi, ne le miti stagioni,

traboccano da gli argini inondando le valli.

Porteranno abondanza le pingui alluvioni.

Or date in sacrifizio cani e bianchi cavalli.

Non più gli odii. Non versi l’uomo da una ferita

il sangue: dolce il sangue fluisca ne le vene

de l’uomo, pullulando da i fonti de la vita,

come va per la quercia il succo. A le serene

fatiche rida il giorno; s’oda pe’ i coltivati

piani lenta salire la vegetazione

fiorente, e l’uomo ascolti, e n’abbia gioia, e i grati

occhi a ’l Sole rivolga, poi che tutte le buone

gioie a i coltivatori il Sole. Or prenda cura

anche del bove l’uomo, del mammifero tardo

che ha il piede fesso; e largo sia d’acqua e di pastura

a la mansuetudine del bove che gagliardo

è ne la sua fatica e carne ha salutare.

Ed anche prenda cura de la pecora, poi

che de ’l lanoso vello ei può con mani industri

compor veste a ’l suo corpo, tepido strato a’ suoi

sonni.

Or su, figli, voi fiumani e voi lacustri,

voi de l’arida rupe, voi de la prateria

irrigua e voi de ’l mare salino, tutti figli

del Gran Padre, obliate le vendette! Non sia

la vergine cagione d’odio eterna. Gli artigli

non ponete su lei sempre come su preda

selvaggia. Partoriscavi ella gran prole. Doni

recate a la novizia madre larghi. Ch’io veda

da ’l suo ventre inesausto le generazioni

propagarsi, in un ordine non interrotto, sane

e belle e innumerevoli, così che si trasfonda

di vena in vena un sangue puro e ne le lontane

età sempre più puro scenda e di più gioconda

virtù. Recate doni a la madre e a l’altare!

Udiste?

Ed or ne’ rivii colori di guerra

lavate da la fronte. E ch’io vegga brillare

i fuochi de la pace su la comune terra! —

E i guerrieri, gittando faretre, archi, saette

su la terra, ne i rivi si tergeano la fronte.

I rivi travolgean ne l’oblìo le vendette;

e il Nume de la Vita, il Felice, da ’l monte

sorrideva a i guerrieri, come il padre ai suoi figli.

Poi, dinanzi a gli attoniti, risalì, ne l’intenso

conflagrar del tramonto, tra i vapori vermigli,

su per l’erta de i cieli, bello, fulgido, immenso.


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